Omelia (14-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 5,33-37 Il servizio alla verità. Per essere sale e luce, bisogna portare a compimento ciò che abbiamo dentro, guardare con il cuore senza fare le sottili distinzioni "fin qui non pecco, poi, da qui in avanti pecco...." Significa essere autentici, trasparenti, onesti. Nel nostro mondo politicamente corretto c'è il rischio di confondere la buona educazione con l'ingerenza: alle volte la verità, anche se fa male, è un modo di amare. Il giuramento, dire di sì o di no, non significa essere scortesi, significa dire: "Io ti voglio bene. Proprio perché ti voglio bene ti vengo a dire che secondo me stai sbagliando." Servizio alla verità vuol dire questo. Il non giudicare non significa dire: "Mi faccio gli affari miei: cristianamente...", ma significa che mi metto in una posizione di partecipazione. Non è il giudizio di chi sta fuori, vede, parla magari alle spalle, e giudica..., ma di uno che vive dal di dentro, che è onesto con sè per essere onesto con te, che valuta nella logica dell'amore se intervenire o no, ma che sempre dice ciò che pensa e pensa ciò che ama e ama la verità sapendo che non sempre è evidente, questa verità. La differenza sta nel mettersi in gioco, con il proprio limite e la propria povertà. Sì: sì. No: no. No, Signore, non abbiamo bisogno di fingere o di giurare: siamo nudi davanti a te e davanti a noi stessi e Tu ci ami e amandoci ci rendi capaci di verità e di rispetto verso i fratelli. |