Omelia (16-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 5,38-42 Nella rilettura della legge data dal Signore al suo popolo, il cosiddetto discorso della montagna in Matteo, Gesù riporta all'essenziale la vita della fede, evita ogni scoglio moralista, fugge il rischio dell'esteriorità religiosa. Oggi affronta un tema impegnativo, quello della non-violenza, del paradosso del dono di sé, del gesto eclatante che suscita conversione. Anzitutto una precisazione: quel famoso "porgi l'altra guancia" è stato troppo spesso interpretato come una specie di rassegnazione di fronte alla violenza, come se i cristiani debbano lasciarsi spazzare via dall'iniquità del mondo. Leggete la passione secondo Giovanni, amici: Gesù durante il processo viene schiaffeggiato da una guardia e non solo non porge l'altra guancia ma chiede ragione di quel gesto ingiusto e gratuito. Sì, il credente è chiamato ad essere mite come una colomba ma astuto come un serpente, sa cioè difendere le proprie ragioni, rispetta la propria dignità, offre comprensione e ascolto e le chiede. In certi momenti, però, è la logica del paradosso, dell'eccesso, a rappresentare l'ultima possibilità di intesa e di conversione. Non è forse ciò che farà Gesù stesso accettando di finire in croce? Non affrontiamo la vita con una mentalità mondana, sappiamo leggere dietro le situazioni le ragioni profonde, gli aspetti che altri non vedono. Dietro una vita bruciata c'è sempre la possibilità di un riscatto, dietro un nemico violento c'è sempre un uomo da incontrare. Amiamo i nostri nemici, per essere figli del Dio che fa piovere sopra i giusti e i malvagi! Sì, o Signore, rendici docili in questo mondo violento, veri testimoni di novità di vita e rendici anche credibili e pieni di dignità nel professare con forza evangelica la verità del mondo e della vita! |