Omelia (17-06-2003)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 5,43-48

Logica stringente e scomoda, verità ineccepibile e che pure dimentichiamo: Gesù ci chiede in cosa si distingue la nostra vita da quella degli altri, dai fratelli che non credono. Amare coloro che ci amano, ascoltare i simpatici o chi ci fa i complimenti è la cosa più semplice e istintiva che possiamo fare. Ma l'atteggiamento del discepolo va oltre: cerca ragioni e dialogo, non mette se al centro, ma l'altro, compatisce le proprie e le altrui debolezze e fragilità; difficile, improponibile se ciò viene vissuto come una specie di eroico sacrificio. Possibile se questo diventa estensione dello stile di vita di Dio in noi. Perciò Gesù ci chiede di imitare il Padre nel suo amare chiunque, nell'aspettare pazientemente che anche il figlio più lontano e ostinato alla fine si converta. Apriamo il cuore alla nuova logica di Dio, oggi, con le persone antipatiche, con chi ci vuole fare le scarpe in ufficio, con dignità e verità sappiamo andare oltre l'istinto, il moto di stizza o di nervosismo; con semplicità e verità vogliamo bene, cioè auguriamo il bene a tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino. Un ultimo appunto: per evitare eccessi o che un cristiano si senta in dovere di essere diverso, migliore, perfetto, san Luca riporta le stesse ammonizioni, e corregge Matteo dicendo: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli". La perfezione di Dio non consiste in una specie di asettica e benevola superiorità, ma in un incontro tra la nostra miseria e il suo cuore, la misericordia, appunto, di chi sa guardare alla povertà con comprensione e cordialità.

Rendici misericordiosi, oggi: che la tua perfezione di amore si rifletta, un poco almeno, nell'accoglienza che sapremo dare a tutti i fratelli che oggi incontreremo, Dio benedetto nei secoli!