Omelia (20-06-2003)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 6,19-23

Non ho mai incontrato in vita mia una persona che mi dicesse: io vivo per far soldi e – lo so – morirò senza vederla. Eppure col passare degli anni mi accorgo, come dice san Giacomo, che all'origine di ogni male c'è l'avarizia, cioè il desiderio del possesso. Gesù ci ammonisce: la ricchezza non è un male in sè, ma è un pericolo perché ci illude di poter comperare la felicità. Ed ecco allora che il nostro mondo, poco per volta, si è incancrenito intorno ad un modello di sviluppo malato: per produrre bisogna consumare, per consumare bisogna avere dei bisogni, per poter consumare devo lavorare e produrre. Qualche tempo fa tornavo da una bella esperienza con i miei giovani: quattro giorni di sacco a pelo, preghiera e scatolette. Alla fine uno di loro mi ha detto: "sarebbe bellissimo vivere così, senza altri bisogni". Vero: sarebbe bello tornare ad avere una vita più essenziale, senza credere che maggiori soldi o profitti ci cambierebbero la vita. E' ricorrente leggere di qualche persona che dica, dopo aver vinto una grande somma al gioco di turno: "La mia vita cambierà". Davvero? Basta così poco per cambiare il cuore dell'uomo? Per colmarlo? Ma allora perché le persone arrivate, i manager, le star, spesse volte sono persone inquiete e disturbate, che cercano nella droga e nell'eccesso nuove emozioni? No, amici, seguite il consiglio del più astruso promotore finanziario della storia: il Signore Gesù. Accumuliamo là dove borsa e mercati finanziari non vacillano: la vita vera fatta di emozioni, di generosità, di piccole gioie godute, del grande sogno di Dio!

Permettici, Signore, di essere sempre liberi nei confronti del denaro e delle cose da possedere, come tu sei stato povero eppure ricco d'amore!