Omelia (21-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 6,24-34 Sano, straordinario, equilibrato monito di Gesù: "Non affannarti". Affanno, detto "stress" nella terminologia attuale, quando, cioè, la vita viene avvelenata dalla vita, dalle ansie organizzative, dalle paure, dal domani. I nostri padri vivevano in un certo clima fatalista, sapendo che la vita era già misurata fin dal giorno della nostra nascita. Per noi, uomini del terzo millennio, stracolmi di impegni e di affanni, di bisogni indotti e di paure, la complicazione della vita diventa sport nazionale e – il più delle volte – condanna a cui pochi privilegiati possono fuggire. Se, cioè, sono un pensionato o un giovane normale, senza casa di proprietà, con lavoro precario – perché solo lavori precari oggi vengono offerti – se magari ho una famiglia e poche esigenze, la vita diventa stentata, piena di trappole, come quella dei miei cari amici, entrambi lavoratori con due bambini piccoli e un mutuo per pagare un tri-locale alla periferia di Milano, scivolati nel baratro delle passività bancarie per comprare un'utilitaria di terza mano per andare a lavorare. E se facciamo parte di quella schiera eletta di coloro che non hanno ansie di lavoro, ecco i bisogni indotti: una macchina più grande, una stanza in più, una settimana di ferie in più che obbliga a guadagnare di più, a lavorare di più, a essere – infine – scontenti, sempre. Gesù oggi ci dice: Dio ti conosce, Dio ha bisogno della tua sana incoscienza: fidati, affidati, accontentati di ciò che hai, la felicità non si compra, vali anche se non sei splendido, conti anche se non realizzi i sogni che i falsi profeti ti vendono. Oggi, Signore, guarderò ai passeri e ai gigli e imparerò da loro a fidarmi, a contare solo sulla tua bontà e sulla Provvidenza. |