Omelia (27-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 19,31-37 Festa della tenerezza di Dio, che ci ricorda vecchie stampe a colori con improbabili Gesù con gli occhi azzurri che lasciano intravedere il proprio cuore luminoso, questa festa popolare porta con sé una verità dolcissima e attuale: l'amore di Dio. Nel nostro mondo disincantato e cinico, in cui abbiamo visto tutto e, ancora, analizzato e demolito i sentimenti, processato le buone intenzioni e la candida ingenuità degli amori, abbiamo urgente bisogno di qualcuno che – alfine – ci parli d'amore. Senza mielose canzoni e fiere dei buoni sentimenti, l'arido tempo moderno ha bisogno di riappropriarsi del vero volto di Dio, volto, come ci dice la festa di oggi, di un innamorato, di un amante, di un amato. E la croce rappresenta la misura di questo amore: amore serio e sereno, capace di andare, davvero, fino in fondo, che non si accontenta delle parole ma sa diventare dono fino a morirne. Convertiamo il nostro cuore alla tenerezza di Dio, fuggiamo l'immagine severa e scostante di Dio che portiamo nel nostro inconscio per convertirci al vero volto di Dio che Gesù viene a raccontare. Quel paradosso eterno e infinito che è la croce, quel Dio sconfitto e nudo, contorto intorno a dei chiodi sanguinolenti che bloccano i polsi doloranti, diventa per noi lo stile di vita, la misura di un Dio che sceglie di morire per amore. Che dirvi, amici? Dimoriamo in questo amore, aggrappiamoci a questa croce, per riconoscere il tempo e il sorriso di Dio. Noi contempliamo il tuo vero volto, Signore. Nudo, osteso, pendi dalla croce e serenamente abbracci ogni uomo. Vinci le nostre resistenze, Signore, fa' che ci lasciamo amare. |