Omelia (28-06-2003)
Paolo Curtaz
Commento su Luca 2,41-51

Dopo l'amore del Maestro, l'amore della discepola, l'amore della madre. Si è sprecato inchiostro sull'amore materno, troppe volte enfatizzandolo ed esasperandolo e - siamo onesti - anche verso Maria di Nazareth la nostra devozione rischia di metterla in imbarazzo: donna abituata a mettersi da parte per indicare solo il Figlio, le puntiamo continuamente addosso i nostri riflettori, invece di starle silenziosamente accanto e imparare. Leggete, allora, amici, leggete che razza di vangelo è stato scelto per la festa dell'amore di una madre. E' il vangelo di un figlio indisciplinato che scappa di casa, che si attarda nella sua Bar Miztvah, quel momento ancora vivo in Israele in cui un adolescente viene interrogato sulla sua conoscenza della legge e diventa - appunto - "Figlio della legge". Sono stupiti gli scribi: Gesù conosce bene la Torah, bella forza, gioca in casa! A parte gli scherzi, l'atteggiamento stupito dei poveri genitori ci indica un mistero, il mistero dell'autonomia, della diversità. Maria non può, né mai potrà, compiacersi di questo figlio e della sua fama, dovrà rispettare il mistero, donarlo al mondo. Esperienza di ogni madre, quel doloroso taglio ombelicale per cui un figlio che hai costruito in grembo per nove mesi è ora uomo, cioè altro, per Maria diventerà realtà faticosa e dovrà presto imparare a rispettare l'inaudita diversità di questo suo non-figlio e - in questo - aiutarlo a salvare il mondo. Grande Maria, insegnaci ad amare senza possedere.