Omelia (26-12-2002) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 10,17-22 Buon Natale! Come ogni buona festa che si rispetti, per otto giorni ci ripeteremo questo augurio, ci inviteremo a far nascere nel cuore la presenza di Dio, ci stimoleremo a uscire dalla melassa in cui ci siamo invischiati in questi giorni per prendere il Natale per ciò che è: una provocazione, uno schiaffo in pieno volto, un invito alla conversione. Sì, Dio viene, è venuto: chi lo accoglierà? Natale è il dramma di un Dio presente e di un uomo assente, dramma della fatica dell'uomo ad aprirsi, ad accettare la novità della presenza di Dio. Lo so, lo so, queste riflessioni rovinano il Natale dei pastorelli e dei buoni sentimenti, pazienza. E, quasi a sottolineare questa sottile tensione drammatica, oggi festeggiamo il primo martire cristiano, Stefano. Ieri è nato il Salvatore, oggi nasce alla luce della vera vita il primo dei testimoni del Maestro. Questo apparente stridore, questo calo di tono, dalla tenerezza del bambino al sangue che esce dalle membra fratturate del primo diacono, questa provocazione, in realtà ci è salutare, ci mette davanti alla realtà. Accogliere la novità della presenza di Dio può costare fatica, può provocare reazione. Oggi Stefano ci ricorda i 28 milioni di cristiani massacrati nel trascorso ex-luminoso 20mo secolo, ci dice che far nascere Cristo può significare subire violenza, presa in giro, sguardo compassionevole. E se, in molti paesi, essere discepoli significa essere perseguitati, rischiare la pelle, dalle nostre parti la persecuzione è più sottile: i cristiani vengono rinchiusi negli zoo del "politicamente corretto", tollerati come testimoni di una simpatica civiltà preistorica che però – per carità – non aprano bocca se non per cose che riguardano le loro credenze naif... Stefano, primo di una lunga serie di 40 milioni di fratelli che in questi due millenni hanno preferito morire piuttosto che rinunciare a te, ci aiuti e ci sostenga a vivere nel segno della verità questo Natale, Dio che ti sei fatto volto sorridente. |