Omelia (25-12-2002) |
Paolo Curtaz |
Commento Luca 2,1-14 Natale, ancora lui. Potremmo quasi cadenzare la nostra vita segnata con questa grande festa. Molte persone, in questi giorni, mi dicevano: "siamo di nuovo a Natale: come passa il tempo!". Natale di festa, Natale di presepi, di regali, di statuine di improbabili panettieri e fabbri; di pranzi, di famiglie riunite per le feste. Ma, amici, attenti al démone dell'abitudine. Attenti a non lasciarci passare addosso questo avvenimento che, se accolto, può veramente cambiare la nostra vita. Il rischio, oltre a quello di lasciarci trascinare dal "tran-tran" festivo, è quello di pensare che questo Natale, in fondo in fondo, sia la fotocopia di quello dello scorso anno. No, amici, davanti al Natale bisogna davvero fare punto e a capo. Avere il coraggio di fermarci nella concretezza della nostra vita presente, chiederci cosa il Signore troverà, quest'anno, entrando nella nostra vita. In questo senso ho sempre amato molto identificarmi con i personaggi della natività. Chissà, forse qualcuno si troverà, quest'anno, nei panni degli albergatori troppo indaffarati per accorgersi di avere Dio in mezzo ai piedi; oppure qualcuno si troverà in sintonia con le preoccupazioni famigliari di Giuseppe, col cuore stretto dall'ansia per la sua piccola sposa costretta a partorire in mezzo a una stalla; oppure qualcuno avrà il cuore gonfio di mistero come Maria, attraversata dal soffio di Dio, ed avrà gli occhi pieni di gioia. O, ancora, qualcuno, un po' come i pastori, si vede tagliato fuori, messo ai margini, e non si aspetta nulla né da questo, né da altri natali. O, infine, se proprio ci sentiamo a terra, possiamo almeno identificarci con l'asino e il bue, animali che la pietà popolare ha voluto mettere accanto all'infreddolito Gesù. A questi è bastato respirare per partecipare in qualche modo al Natale... Vorrei gridarlo sui tetti, perforare i vostri cuori, vorrei che i cristiani diventassero come gli angeli della notte per urlare lo stupore di un Dio che nasce, per sbalordirsi davanti all'Onnipotente che vagisce in una culla, lasciarsi tutti avvolgere dalla luce di questa notte. Dio nasce, amici: che ci crediamo o meno, che ce lo aspettiamo o meno, che ce lo meritiamo o meno. Che importa? Dio è più grande e si lascia raggiungere, accarezzare, amare, coccolare. Quante volte sento dire alle persone disperate: "Se Dio fosse più vicino!". Ma cosa c'é di più vicino e raggiungibile di un bambino che vagisce nella culla? Cosa di più straordinario di un Dio che si consegna, per amore, all'uomo, confidando di essere accolto? Bella accoglienza trova Dio, nella sua prima venuta! Dove sono i potenti, dove i sapienti, dove gli uomini di religione? Nulla: a Maria e Giuseppe, povera gente, resta il compito di avere un cuore così ampio da poter accogliere con amore il Dio che si dona per amore. Buon Natale, allora, amici. Che significa: lasciatevi fare, fidatevi di Dio, aprite il cuore, gli occhi, la mente, all'accoglienza, convertitevi, convertiamoci alla Buona Notizia di un Dio che si consegna. Buon Natale soprattutto alle persone che a Natale stanno male. Male perché sole e non hanno nessuna famiglia con cui festeggiare; male perché in carcere o in un letto di ospedale; male perché con una storia affettiva in frantumi tra le mani; male perché sconfitti dalla vita e delusi di sé. Per voi è nato il Salvatore, in lui troverete pienezza e consolazione, affetto e comprensione. Buon Natale, di cuore, lasciatevi amare. |