Omelia (16-11-2003)
don Elio Dotto
Conversione, non consolazione

C'è una malattia che affligge la società moderna, e le stesse nostre chiese cristiane: una malattia insidiosa, che ha sintomi nascosti ma effetti disastrosi. Mi riferisco a quella malattia di cercare in ogni messaggio di carattere "religioso" - in ogni parola che dica a proposito di Dio - una risorsa per sognare, magari anche per commuoversi e piangere, senza per altro che ne vada di mezzo la qualità delle occupazioni quotidiane. Avveniva così già al tempo dell'esilio di Israele, quando i deportati a Babilonia preferivano distrarsi con le parole belle dei profeti piuttosto che impegnarsi nella loro nuova situazione di vita. «In folla vengono da te - leggiamo nel libro di Ezechiele - si mettono a sedere davanti a te e ascoltano le tue parole, ma poi non le mettono in pratica, perché si compiacciono di parole, mentre il loro cuore va dietro al guadagno» (Ez 33,31).
Allo stesso modo oggi si chiede alla religione di essere "leggera e consolatoria". Si chiede cioè che le parole religiose scaldino il cuore, facciano sognare, portino sollievo e consolazione: ma niente di più. Qualcuno potrebbe dire che è già un primo passo: perché comunque anche di sollievo e consolazione abbiamo bisogno. Il Vangelo di Gesù però non è d'accordo: perché la buona notizia di Dio non può essere trasformata in un semplice discorso consolatorio. A questo proposito Gesù era stato chiaro fin da subito: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra - aveva detto un giorno ai discepoli - non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34).
Appunto questa spada traspare dietro le parole forti del brano evangelico di oggi (Mc 13,24-32): «In quei giorni... il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore... e le potenze dei cieli saranno sconvolte...; allora... quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell'uomo è vicino». Certo non sono "leggere" queste parole di Gesù: e infatti molti cristiani oggi le evitano, magari con la scusa di non capirle... Neppure si tratta di parole "consolatorie": anzi, fanno intravedere chiaramente una fine ed un giudizio. E tuttavia proprio con queste parole forti Gesù riassume la sua predicazione alla vigilia della morte.
Occorre quindi che riscopriamo la forza del Vangelo di Gesù: il quale certo scalda il cuore, e fa anche sognare; ma non perché sia "leggero e consolatorio". Il Vangelo scalda il cuore perché è come una spada «che penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito... e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (cfr Eb 4,12-13). E dunque il Vangelo fa sognare perché finalmente ci scuote dal torpore dell'indecisione, e ridona coraggio alle nostre opere.
Se però oggi ci accorgessimo che così non è, stiamo attenti: il nostro tempo infatti è breve, e non possiamo rimandare ancora la nostra conversione.