Omelia (02-11-2003) |
Comunità Missionaria Villaregia (giovani) |
Voglia di santità E' un bellissimo fine settimana: festa dei Santi e dei Defunti. La liturgia ci regala prima la festa dei santi e poi la festa dei defunti. Avrebbe potuto essere il contrario: celebrare prima la morte e dopo la santità. La recente beatificazione di Madre Teresa ci ricorda, come lei stessa diceva a un giornalista che le chiedeva cosa provava ad essere acclamata santa da tutto il mondo: "La santità non è un lusso, ma una necessità." Il contrario di santo non è peccatore, ma fallito! Siamo infatti chiamati ad essere santi per vocazione; la santità è esigita dall'essere stesso dell'uomo: egli deve essere santo per realizzare la sua identità profonda che è essere a immagine e somiglianza di Dio. E' chiaro allora che saremo persone vere, riuscite nella misura in cui saremo santi. Lo scrittore francese Leon Bloy scriveva: "Non c'è che una tristezza al mondo ed è di non essere santi". La liturgia di Tutti i Santi ci invita a guardare la morte non come la fine di tutto, ma come la continuazione della vita nuova iniziata in noi con il Battestimo, come la risposta dell'uomo alla chiamata fondamentale della sua vita alla vita eterna. "Dio ha creato l'uomo per l'immortalità - dice il libro della Sapienza - la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo". L'uomo respinge la morte e prova verso di essa un insopprimibile rifiuto. Quando nasce un uomo si possono fare su di lui tutte le ipotesi: "Sarà bello, sarà brutto; sarà ricco, sarà povero; sarà intelligente o forse no, ma di nessuno si dice: "Forse morirà, o non morirà." Per ogni uomo vi è la certezza della morte. Nello stesso tempo vediamo che il più potente istinto nell'uomo è il rifiuto alla morte. Se si potesse udire il grido silenzioso che dale dall'umanità intera si ascolterebbe l'urlo tremendo: "Non voglio morire!" L'uomo della società moderna ha deciso di rimuovere il pensiero della morte, di far finta che non esista, o che esista solo per gli altri, ma non per sè. Abbiamo narcotizzato il pensiero della morte: progettiamo, corriamo, ci esasperiamo per cose, come se ad un certo punto non dovessimo lasciare tutto. Pensiamo a come è stata esorcizzata la paura della morte nell'ambito familiare: il defunto non muore più in casa, non lo si veglia più. Abbiamo paura di guardare alla morte come a qualcosa che fa parte della stessa natura umana. Anche questo, in fondo, è il grido silenzioso dell'uomo che anela alla vita eterna. Heidegger dice: "L'uomo non può vivere se non morendo. Ogni minuto che passa è un frammento che viene bruciato nella nostra vita." Il detto: Muoio ogni giorno un po', è vero alla lettera. Come porci dunque da cristiani dinnanzi alla morte? La Parola di questa domenica ci viene data come una luce speciale: "Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno." La volontà del Padre è la vita eterna per ogni uomo. Cristo ha punto il pungiglione della morte e ha ridonato all'uomo l'immortalità. La festa dei defunti non è dunque la festa dei morti, ma dei viventi, di voloro che vivono in Gesù. La festa dei Viventi Santi, perché questa è la vocazione di ciascun uomo: Vivere per l'eternità nella santità di Dio, ma questo inizia già ora. Nella morte Dio raggiunge completamente l'uomo e l'uomo incontrerà inevitabilmente Cristo, che sta lì, nella morte, davanti all'uomo. Così la morte costituisce veramente il vertice del divenire del mondo, l'origine della vita eterna. L. Boros, così descrive l'ingresso dell'uomo nel cielo: "Svegliato improvvisamente dall'agonia della morte, ridiventato pienamente me stesso, in una decisione veramente ricapitolatrice della mia esistenza, si apre davanti a me un mondo nuovo, profondo, permeato dallo spirito. Schiere di essenze glorificate mi si fanno incontro. L'intero complesso celeste gira attorno a me come attorno al suo centro più proprio. A me sale la meraviglia, l'amore e l'adorazione degli angeli e dei santi. Adorazione: essa non è per il mio essere piccolo, debole, creaturale, insignificante, ma per colui di cui io sono divenuto il vaso trasparente. Tutto giace lì attorno a me come nella più acceccante luce di mezzogiorno dell'amore divino. Io mi avanzo con atteggiamento fattosi regale tra le figure inchinate di tutta la realtà. Finché all'improvviso una sensazione di terrore santo, conosciuta prima, ma percepita solo adesso in tutta la sua forza, mi afferra e sussurra attraverso tutte le mie vene: Dio è là. Adesso io sto muto, perché non sta a me parlare. Le persone divine adesso mi si fanno incontro. Esse mi ringraziano per aver creduto al loro amore. Esse ammirano me, piccole essere, che potrebbe essere ridotto al nulla da un loro piccolo tocco distratto ed i cui pensieri più elevati fino a quel momento erano stati diretti su cose le quali pensate dagli angeli li avrebbero immediatamente spogliati della loro luce. Esse ammirano me per aver conquistato il cielo. All'improvviso comprendo che sono un nulla, anche se ho compiuto qualcosa di così grande che le profondità del cielo si profondono in ammirazione. Tutto è dono. Le Persone divine adesso mi comunicano come il loro cuore era inquieto finché esso non trovò in me quiete. Esse mi donano la loro scienza per poter conoscere l'universo e il cuore degli uomini e degli angeli tutti. Il loro volere per consacrare tutto l'essere ad un servizio di amore. Il loro amore per poter abbracciare loro e tutti gli esseri in loro, con il loro stesso amore". Con questa voglia di santità e di cielo, ti auguriamo una buona settimana tra i santi e i viventi. |