Omelia (09-11-2003)
don Fulvio Bertellini
L'apparenza rispettabile

La condanna degli scribi per gli ascoltatori di Gesù e per i lettori del Vangelo doveva avere qualcosa di sorprendente. Si trattava di persone dedite allo studio della Scrittura e alla loro applicazione giuridica, e quindi rispettate e stimate; per trovare un esempio, dovremmo pensare a qualcosa come un magistrato o un notaio o un avvocato di oggi (i ruoli nell'antichità erano molto più fluidi - e nell'ebraismo avevano una connotazione particolare), ma in più dovremmo aggiungere una connotazione fortemente religiosa: i precetti giuridici andavano cercati nella Legge di Dio, e le norme che se ne ricavavano avevano il valore della sua Parola.

L'intollerabile incoerenza

La descrizione degli scribi ricalca gli usi del tempo; la ricerca dei segni di distinzione nell'abbigliamento, i segni di prestigio sociale, sia nelle riunioni conviviali, sia nelle riunioni religiose. In tutto ciò non si trova nulla di male; la chiave di comprensione della dura condanna di Gesù è nell'ultima contrapposizione: "divorano le case delle vedove / ostentano di fare lunghe preghiere". Si tratta di comportamenti antitetici: da un lato - verosimilmente con i loro pronunciamenti di carattere giuridico - essi si impadroniscono delle "case delle vedove" (forse l'eredità del marito morto?), oppure permettono ad altri di farlo. D'altra parte mostrano di fare lunghe preghiere, come autentici uomini di Dio, che amano stare in contatto e in comunione con lui. Bisogna ribadire che in realtà è difficile stabilire esattamente che cosa facessero di tanto negativo questi scribi. Il Vangelo riporta solo una breve frase, che suppone forse situazioni ben conosciute dagli ascoltatori, e che si riferisce al risultato finale: le case delle vedove sono "divorate" (vendute? svendute? svalutate? sottratte con l'usura? attribuite ad altri?), e non importa tanto considerare il "come", quanto il rilevare la profonda ingiustizia commessa, da parte di uomini che ostentano di fare e cercare la volontà di Dio.

Oggi tocca a noi

Si tratta di un brano per molti aspetti inquietante. L'evangelista mette in guardia contro ogni esteriorità rassicurante. Non baste essere stimati, non basta essere rispettati, non basta essere a posto con la legge, non basta neppure frequentare la Chiesa: al di là di tutte le esteriorità può celarsi l'inganno, la finzione, la rapina. Ciò che Gesù chiede è un accordo profondo con la volontà di Dio, non il semplice, formale, rispetto delle regole. Il punto di paragone è il povero, il debole, colui che non ha forza per far valere i suoi diritti, che secondo la consuetudine biblica è presentato con l'immagine della vedova. Le prime pagine dei giornali sono spesso dedicate ai diseredati, ad immigrati disperati, alle vittime della guerra. Sono forse questi oggi che incarnano le vedove del Vangelo, la cui casa è divorata? Sicuramente, la presenza di squilibri e ingiustizie deve farci pensare. Dietro la sua rispettabilità, il nostro mondo ha le sue pecche e le sue ferite, e le sue inaccettabili ingiustizie. Ma anche la presentazione scandalistica di povertà inimmaginabili rischia di essere solo apparenza.

Lo sguardo di Gesù

L'esito è scoraggiante e demoralizzante: non ci possiamo fare nulla, non è nei nostri mezzi, non siamo noi che possiamo fermare la guerra, la povertà, l'immigrazione... La conseguenza, grave, è che rischiamo di non vedere i veri poveri del nostro tempo, le ingiustizie alla nostra portata, quelle che dipendono da noi; e rischiamo anche di non vedere i segnali positivi, i gesti di cambiamento anch'essi alla nostra portata.
Gesù osserva i ricchi che depongono le loro offerte nel Tempio; ma tra tutte fa notare quella della povera vedova. Forse anche lei vittima dell'ingiustizia, ridotta agli estremi. Eppure dona a Dio tutto quello che ha. Gesù sa vedere che quello è un gesto di un valore estremo. Non pubblicizzato, non riconosciuto, non apprezzato. L'unico però che appartiene al Regno di Dio.
Lo sguardo di Gesù ci porta dunque a riconoscere le vere ingiustizie, e i veri poveri; e a riconoscere d'altra parte i veri gesti di giustizia, e i veri benefattori. Lo sguardo di Gesù mette a nudo le nostre azioni: la ricerca di consenso, di prestigio, ciò che facciamo per essere visti, per essere apprezzati, o per paura di punizioni... come i ricchi del tesoro del tempio, spesso mettiamo in gioco solo il nostro superfluo, quello che non è veramente importante; ma che cosa ne facciamo della nostra vita?


Flash sulla I lettura

Il capitolo 17 del primo libro dei Re introduce bruscamente la figura del profeta Elia, che annuncia una grande carestia. Il senso di questa catastrofe per il popolo infedele dovrà essere la scoperta che solo il Signore di Israele è il vero Dio, e non il Dio cananeo della pioggia e della fertilità, Baal. Difatti il prosieguo della narrazione ci mostra Elia costantemente affidato e protetto dalla provvidenza divina: prima i corvi gli portano il cibo, presso il torrente Cherit, poi a Zarepta una vedova straniera lo accoglie nella sua casa. Il profeta, uomo di Dio, non ha un potere magico sulle cose, ma è affidato completamente al suo Signore, che si prende cura di lui attraverso una donna povera.
L'incontro tra Elia e la vedova ha qualcosa di paradossale: Elia per vivere ha bisogno della vedova, ma la vedova ha bisogno di Elia per ascoltare una parola piena di speranza da parte di Dio. Questa parola si avvera, ed entrambi hanno da mangiare per un tempo sufficiente. La potenza di Dio si manifesta nel profeta nullatenente, assistito da una donna misera.
Il brano assume il valore di una provocazione: fino a che punto abbiamo il coraggio di affidarci all'amore di Dio, rinunciando alle nostre sicurezze? fino a che punto siamo riconoscenti e consapevoli di quanto riceviamo? Noi certamente non viviamo nella carestia; piuttosto siamo nell'abbondanza e nel benessere. Ma anche nell'Antico Testamento i racconti della carestia e del deserto hanno il valore di un ammonimento per i tempi dell'abbondanza: il popolo che ingrassa compiaciuto mangiando i frutti della terra, non deve dimenticare che tutto viene dal Dio liberatore. E noi come viviamo il nostro benessere?

Flash sulla II lettura

"Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo...": prosegue la riflessione della lettera a partire dagli elementi del culto sacerdotale di Israele. Uno degli elementi fondamentali era il santuario, il luogo santo, luogo della mediazione tra Dio e gli uomini. L'autore di Ebrei rileva l'insufficienza del Tempio come strumento di una reale comunicazione. Esso resta opera delle mani dell'uomo, incapace di stabilire una relazione tra Dio e l'uomo.
"... ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio": il cielo è, nella mentalità antica, e anche moderna, il simbolo istintivo della presenza di Dio. Necessariamente dobbiamo parlare di Dio in termini figurati, ma non dobbiamo dimenticare la realtà che sta dietro le nostre parole. Ciò che l'autore vuol dire è che Gesù stabilisce una comunicazione reale, non solo simbolica, tra Dio e l'uomo, e dà inizio ad una relazione autentica.
"... una volta sola ora, nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso...": l'offerta della vita di Gesù ha cancellato l'ostacolo alla comunione tra Dio e l'umanità, il peccato che inquinava la fiducia e la confidenza nel Padre celeste.
"... apparirà una seconda volta...": la svolta operata da Cristo è definitiva, ma aspetta il suo compimento. Viviamo liberati dalla paura, liberati dall'inimicizia con Dio, ma viviamo ancora nell'attesa della piena manifestazione di Cristo.