Omelia (30-11-2003)
don Marco Pratesi
Vigilanti nella speranza

Il vangelo oggi ci parla di segni cosmici. Sappiamo che si tratta di un particolare modo di esprimersi che non vuole descrivere quanto accadrà, ma piuttosto rivelarci la sostanza di quello che accadrà, anzi di quello che già accade in ogni momento della storia (così come i racconti biblici della creazione e delle origini). Questi segni cosmici indicano ogni situazione in cui l'uomo sente mancare qualsiasi solido punto di riferimento, qualsiasi sicurezza. Una situazione che assomiglia a quella del caos primordiale, quando l'azione ordinatrice di Dio non aveva ancora fatto del caos un cosmo e fissato limiti invalicabili a tutte quelle potenze ostili e incontrollabili che fanno paura all'uomo e che sono contrarie alla sua vita. Sono tutte quelle situazioni nelle quali le cose sembrano andare a rovescio, non riusciamo più a capire, a padroneggiare la situazione, ci sentiamo in balia di forse oscure e incontrollabili, non sappiamo dove "andremo a finire". A livello collettivo pensiamo al tempo di guerra; a livello personale a una malattia grave: il mondo sembra crollare.
Quale positività può esserci in tutto questo? Umanamente nessuna. Ma Gesù ci sorprende ancora una volta: attraverso tutto questo Dio porta a compimento quel progetto iniziato con la creazione. I momenti di travaglio e sofferenza possono diventare strumenti di maturazione, di redenzione, di resurrezione, sia a personalmente che comunitariamente. Ciascuno ha fatto questa esperienza. La Chiesa ha fatto questa esperienza.
Ma che il travaglio diventi resurrezione non è automatico, non viene da sé. Occorre avere quell'atteggiamento che ci viene suggerito dal vangelo: la vigilanza. Vigilanza significa non addormentarsi, non appiattirsi sul presente. Non "dissiparsi", non vivere senza un centro interiore, senza una meta, senza un progetto. Non "ubriacarsi", non cercare lo stordimento fine a se stesso, un superamento del limite umano che è illusorio e distruttivo. Non lasciarsi dominare dall'ansia della vita, dalle preoccupazioni, così che tutto il nostro orizzonte interiore sia occupato da quelle e non resti più tempo ed energia per altro.
Senza questi atteggiamenti la venuta del Signore non potrà significare per noi che paura, perdita del nostro mondo e delle nostre sicurezze, incomprensibilità. La vigilanza ci apre invece alla speranza, apre i nostri occhi per vedere che il travaglio presente - e futuro - è il travaglio del parto nel quale nasce la nuova creazione, la terra e i cieli che Dio ha pensato, finalmente completamente corrispondenti al suo progetto.

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Nota.
Insieme alla riflessione sul vangelo, invierò anche due corrispondenti adattamenti:
1. della formula offertoriale "Pregate fratelli perché il mio e vostro sacrificio, etc..."
2. dell'introduzione al Padre Nostro.
Lo scopo è richiamare il vangelo al momento di:
- passare dalla Parola al Pane (l'eucarestia ci "abilita" a vivere il vangelo ascoltato)
- entrare in rapporto col Padre (ci rapportiamo col Padre sulla base di quello che ha detto il vangelo).
Questo consente di dare maggiore unità - attorno al vangelo - alla celebrazione.

All'offertorio:
Pregate fratelli e sorelle perché questo sacrificio ci apra alla speranza, e (così) sia gradito a Dio Padre Onnipotente.

Al Padre Nostro:
Animati dallo Spirito di Gesù, chiediamo al Padre che venga il suo regno, si realizzi completamente il suo progetto su ciascuno di noi e sulla famiglia umana.