Omelia (23-11-2003)
a cura dei Carmelitani
Gesù è il Re Messia

1. Orazione iniziale

O Padre, il Verbo tuo ha bussato, nella notte, alla mia porta; catturato, legato, eppure parlava ancora, chiamava ancora, come sempre e mi ha detto: "Alzati, in fretta e seguimi!" All'alba l'ho visto, prigioniero nel pretorio di Pilato e, nonostante tutto il dolore della passione, tutto l'abbandono in cui si trovava, Lui ancora mi conosceva, mi aspettava. Fammi entrare, o Padre, con Gesù nel pretorio, in questo luogo di accusa, di condanna, di morte; è la mia vita di oggi, il mio mondo interiore. Sì, tutte le volte che la tua Parola mi invita, è un po' come entrare nel pretorio del mio cuore, luogo contaminato e contaminante, che attende la presenza purificatrice di Gesù. Ho paura, tu lo sai, ma se Gesù è con me, non devo più temere. Rimango, Padre e ascolto in profondità la verità di tuo Figlio che mi parla, guardo e contemplo i suoi gesti, i suoi passi, lo seguo, con tutto ciò che sono, con tutta la vita che tu mi hai donato. Avvolgimi e riempimi con il tuo santo Spirito, ti prego.

2. Lettura: Giovanni 18, 33-37

a) Per inserire il brano nel suo contesto:
Questi pochi versetti ci aiutano ad entrare ancor più profondamente nel racconto della Passione e ci conducono quasi in intimità con Gesù, in un luogo chiuso, appartato, dove Egli si trova solo, faccia a faccia con Pilato: il pretorio. Qui viene interrogato, dà risposte, pone domande, continua a rivelare il suo mistero di salvezza e a chiamare a Sé. Qui Gesù si mostra come re e come pastore; qui è legato e incoronato nella condanna a morte, qui egli ci conduce ai pascoli verdeggianti delle sue parole di verità. Il brano fa parte di una sezione un po' più ampia, compresa fra i vv. 28–40 e racconta il processo di Gesù davanti al governatore. Dopo una notte di interrogatori, di percosse, di scherni e tradimenti, Gesù è consegnato al potere romano ed è condannato a morte, ma proprio in questa morte Egli si rivela re e Signore, colui che è venuto a dare la vita, giusto per noi ingiusti, innocente per noi peccatori.

b) Per aiutare nella lettura del brano:
vv.33-34: Pilato torna dentro il pretorio e inizia l'interrogatorio a Gesù, rivolgendogli la prima domanda: "Tu sei il re dei Giudei?" Gesù non risponde subito direttamente, ma costringe Pilato a fare assoluta chiarezza su ciò che tale regalità significhi, lo fa andare nel profondo. Re dei Giudei significa Messia ed è in quanto Messia che Gesù viene giudicato e condannato.
v.35: Pilato sembra rispondere con disprezzo nei confronti dei Giudei, i quali appaiono chiaramente come accusatori di Gesù, i sommi sacerdoti e il popolo, ognuno con la sua responsabilità, come si legge già nel prologo: "Venne tra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1, 11). Poi segue la seconda domanda di Pilato a Gesù: "Che cosa hai fatto?", ma non avrà risposta.
v.36: Gesù risponde alla prima domanda di Pilato e per tre volte usa l'espressione: "il mio regno". Qui ci è offerta una spiegazione mirabile su cosa sia in realtà il regno e la regalità di Gesù: non è di questo mondo, ma del mondo futuro, non ha guardie o servitori per il combattimento, ma solo la consegna amorosa della vita nelle mani del Padre.
v.37: L'interrogatorio ritorna sulla domanda iniziale, alla quale Gesù continua a dare risposta affermativa: "Io sono re", ma spiegando anche la sua origine e la sua missione. Gesù è nato per noi, è stato mandato per noi, per rivelarci la verità del Padre, dalla quale abbiamo la salvezza e per permetterci di ascoltare la sua voce e di seguirla, facendo aderire ad essa tutta la nostra vita.

c) Il testo:
33-34: Pilato rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?" Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?"
35: Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?"
36: Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù".
37: Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?" Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce".

3. Un momento di silenzio orante

Sento che la Parola dell'Evangelo ha il potere di sottrarmi dal regno delle tenebre e di trasferirmi nel regno del Figlio, di Gesù; mi lascio rapire così, portare via così dalla volontà del Padre, dall'amore di Cristo e dalla luce dello Spirito. Entro nel pretorio, dunque, mi pongo in profondo ascolto di ogni parola che esce dalla bocca di Cristo e ripeto solamente: "Gesù, tu sei re!"

4. Alcune domande

Che mi aiutino ad avvicinarmi al re, a corrergli incontro, ad adorarlo, a servirlo con tutto l'essere mio, ad ascoltarlo, a contemplarlo, a seguirlo dovunque Egli andrà, a difenderlo, a consegnare a Lui l'intera mia esistenza.

a) Osservo i movimenti di Pilato, mi faccio attento ai verbi che il Vangelo riferisce a lui, fin dal primo versetto e lo seguo, perché in questo momento è lui la guida verso Gesù, è lui che apre la strada per raggiungere il mio maestro, il mio re. "Entra di nuovo", "chiama Gesù", "parla con Gesù". Il suo corpo, la sua mente, le sue parole sono rivolti a Gesù, alla ricerca di Gesù, al desiderio di un contatto con Gesù, anche se lui non è consapevole. Se penso alla mia vita, devo ammettere che non sempre sono disposto a tutto questo, che molte volte mi è difficile partire, uscire, entrare, domandare, chiamare, stare in dialogo con il Signore. Perché non faccio mia questa realtà, questa grazia, perché non entro anch'io nel pretorio, in questa piazza troppo quotidiana, forse, troppo squallida e inquinata, impura? Perché non vendo tutto e vado anch'io, così, dietro a Gesù?

b) Le parole che Gesù rivolge a Pilato sono molto forti, colpiscono subito al cuore, vanno al centro: "parli da te o parli con parole di altri?"; sembra quasi che mi chieda: "Sei proprio tu che mi cerchi, che mi conosci e mi ami?" Il Signore desidera un rapporto personale con me, vuole incontrarmi in profondità, là dove nessun altro mai potrà arrivare; mi aspetta per uno scambio d'amore reciproco, faccia a faccia, cuore a cuore; Lui non sopporta le lontananze, le nebbie, le indifferenze. Dice infatti: "Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14, 23) e: "Ti fidanzerò a me nella fedeltà" (Os 2, 22), "farò con te un'alleanza eterna" (Ez 16, 60). Quando sono con Lui, quando rimango nel suo abbraccio, nella sua parola, io parlo da me, parlo con il mio cuore, con la mia esperienza, o parlo sempre con parole di altri, con l'esperienza sentita da altri? Sono capace di entrare o di lasciarmi attirare in un rapporto vero, intenso, vitale, con il Signore? E se ho paura di questo, perché? Cosa c'è che mi separa da Lui, che mi tiene a distanza?

c) "Consegnato" è una delle parole più forti e sconvolgenti di questo brano e di tutto il Vangelo. Gesù si rivela a me anche come il consegnato, l'offerto, il donato e vive questa realtà in tutta la sua pienezza; incarna in sé questa parola divina per trasfigurarla, per renderla positiva anche per me. Consegnarsi al Padre e quindi a tutto ciò che Egli dispone nella nostra vita, non è perdersi, ma trovarsi, riconquistarsi, per Lui, giorno dopo giorno. Capisco tutto questo guardando a Gesù e seguendolo lungo le pagine della Scrittura. Mi soffermo su questa parola e cerco di mangiarla, di ruminarla e trattenerla nel mio cuore, mettendola a confronto con la mia vita, coi miei comportamenti di ogni giorno. Vedo che è un cammino lungo da percorrere, è una conversione, un cambiamento di rotta. Decido, in questo istante, dentro la grazia della Parola del Signore, di voltarmi indietro e di andare da Lui così, consegnandomi al suo amore, al suo abbraccio benedicente.

d) Per tre volte Gesù ripete che il suo regno "non è di questo mondo", invitandomi, così, con forza a passare in un'altra realtà. Ancora una volta Lui mi sconvolge, proponendomi un altro mondo, un altro regno, un altro potere. E' il regno dei cieli, ormai vicino, per il quale occorre convertirsi (Mt 4, 17); è il regno del Padre (Mt 6, 10); è un regno dove non ci sono scandali, inciampi gettati ai fratelli da fratelli, né iniquità (Mt 13, 41); dove il più grande è il più piccolo (Mt 18, 4); dove entra chi è povero (Mt 19, 23). Per vederlo e per entrare in esso occorre farsi nuovi, rinascere dall'alto, dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3, 3-5); occorre aspettarlo, conquistarlo, acquistarlo a prezzo di ogni altra ricchezza. E' un regno senza violenza, senza potere. E' diverso: il regno di Dio è totalmente nella luce, nella pace, nella dolcezza e nella vita, perché è "oltre", è "al di là" di ciò che appare e si può costatare come realtà mondana. E', infine, il regno della mitezza e dell'amore, che giunge fino alla croce, come mi insegna Gesù in questi versetti. Mi vengono incontro altre sue parole, in questo momento: "Non potete servire due padroni" e sento che non posso appartenere a due regni; devo scegliere, devo amare l'uno o l'altro, devo camminare su una strada o su un'altra. Dove andrò? Verso dove decido di muovermi? Quale regno sto aspettando, con la speranza nel cuore?

e) La battuta finale del brano è stupenda: "Ascolta la mia voce". E' Gesù che parla e che si rivela come buon pastore, che, mentre dà la vita per le sue pecore, continua ancora, instancabile, a parlare loro con quelle sue parole d'amore che sono inconfondibili e inimitabili. Chi mai ha parlato così? Nessuno. "Le mie pecore ascoltano la mia voce" (Gv 10, 27). Io, che corro tutto il giorno per le strade, che sono assorbito da mille lavori, impegni, incontri, dove volgo le orecchie?, a chi sto attento?, a chi penso?, chi aspetto, alla sera, quando sono stanco?, dove mi riposo? Io sono dalla Verità, che è Gesù o da dove prendo origine? Ogni mattina ricevo vita nuova, ma in realtà, da chi mi lascio generare?

5. Una chiave di lettura

Busso alla porta della Parola stessa, cerco nutrimento dai suoi seni stessi, come da una vera madre, per non staccarmi da Gesù, per aderire a Lui con tutto il mio essere e da Lui lasciarmi trasformare. Voglio farmi più vicino e penetrare più in profondità nella persona di Gesù, voglio riconoscerlo e conoscerlo, voglio amarlo come mio re e Signore.

Gesù, il re legato e consegnato
Un verbo emerge con forza da queste righe, rimbalzando ripetutamente già dai primi versetti del racconto della Passione: è il verbo consegnare, pronunciato, qui, prima da Pilato e poi da Gesù. La "consegna del Cristo" è una realtà teologica, ma allo stesso tempo vitale, di estrema importanza, perché ci conduce lungo un cammino di sapienza e ammaestramento molto forte. Può essere utile ripercorrerlo, cercandone i segni lungo le pagine della Scrittura. Prima di tutto appare che è il Padre stesso a consegnare a noi il Figlio suo Gesù, come dono per tutti e per sempre. Leggo Rm 8, 32: "Dio, che non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo consegnò per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" Allo stesso tempo, però, vedo che è Gesù stesso, nella suprema libertà del suo amore, nella più intima e totale fusione con la volontà del Padre, a consegnarsi per noi, a offrirci la sua vita; dice san Paolo: "Cristo ci ha amati e ha consegnato se stesso per noi..." (Ef 5, 2. 25), ma mi ricordo anche di queste parole di Gesù: "Io offro la mia vita per le pecore; nessuno me la prende, ma la offro da me stesso" (Gv 10, 18). Quindi, al di sopra e prima di ogni altra consegna, sta questa consegna volontaria, che è solamente consegna d'amore e di dono.
Nei racconti evangelici appare subito la consegna malvagia da parte di Giuda, detto appunto il traditore, cioè il "consegnatore", quello che disse ai sommi sacerdoti: "Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?" (Mt 26, 15); vedi anche Gv 12, 4; 18, 2. 5. In seguito sono i Giudei che consegnano Gesù a Pilato: "Se non fosse un malfattore non te l'avremmo consegnato" (Gv 18, 30. 35) e Pilato rappresenta le genti, come Egli aveva preannunziato: "Il Figlio dell'uomo... lo consegneranno ai pagani" (Mc 10, 33). Infine Pilato lo riconsegna ai Giudei, perché sia crocifisso (Gv 19, 16). Contemplo tutti questi passaggi, osservo il mio re legato, incatenato, come mi fa notare l'evangelista Gv sia in 18, 12 che 18, 24; mi metto in ginocchio, mi piego davanti a lui e chiedo al Signore che mi sia dato il coraggio di seguire questi passaggi drammatici, ma meravigliosi, che sono come un unico canto d'amore di Gesù per noi, il suo sì ribadito all'infinito per la nostra salvezza. Il Vangelo mi accompagna dolcemente dentro questa notte unica, nella quale Gesù è consegnato per me, come Pane, come Vita fatta carne, come amore condiviso in tutto. "Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva consegnato, prese del pane e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi" (1 Cor 11, 23). E allora comprendo che per me, la felicità, è nascosta anche dentro queste catene, questi legami, con Gesù, con il gran re ed è nascosta in questi continui passaggi, di consegna in consegna, alla volontà, all'amore del Padre mio.

Gesù, il re Messia
Torno di nuovo sul dialogo di Gesù con Pilato, su questo interrogatorio così misterioso e strano e in particolare noto che prima Pilato chiama Gesù "il re dei Giudei" e poi solo "re", come se ci fosse un cammino, una comprensione sempre più piena e vera del Signore Gesù. "Re dei Giudei" è una formula usata con grande ricchezza di significato dal popolo ebraico del tempo e racchiude in sé il fondamento, il nucleo della fede e dell'attesa di Israele: essa significa, chiaramente, il Messia. Gesù è interrogato e giudicato riguardo al suo essere o non essere il Messia. Gesù è il Messia del Signore, il suo Unto, il suo Consacrato, è il servo, mandato nel mondo proprio per questo, per realizzare in Sé, nella sua persona e nella sua vita, tutte le parole dette dai profeti, dalla legge e dai salmi, riguardo a Lui. Parole di persecuzione, di sofferenza, di pianto, ferite e sangue, parole di morte per Gesù, per l'Unto del Signore, che è il nostro respiro, colui alla cui ombra vivremo fra le nazioni, come dice il profeta Geremia (Lam 4, 20). Parole che raccontano di trabocchetti, di insurrezioni, congiure (Sal 2, 2), lacci. Lo vediamo sfigurato, come uomo dei dolori; ormai irriconoscibile, se non da parte di quell'amore, che, come Lui, ben conosce il patire. "Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso!" (At 2, 36). Sì, è un re legato, il mio, un re consegnato, buttato via, disprezzato; è un re unto per la battaglia, ma unto per perdere, per sacrificarsi, per essere crocifisso, immolato come agnello. Questo è il Messia: il re che ha come trono la croce, come porpora il suo sangue versato, come reggia i cuori degli uomini, poveri come Lui, ma fatti ricchi e consolati da una continua risurrezione. Questi sono i nostri tempi, i tempi della consolazione da parte del Signore, nei quali egli manda incessantemente il Signore Gesù, colui che egli ci ha destinato come Messia.

Gesù, il re martire
"Sono venuto per rendere testimonianza alla verità", dice Gesù, usando un termine molto forte, che racchiude in sé il significato di martirio, in greco. Il testimone è il martire, colui che afferma con la vita, col sangue, con tutto ciò che è e che ha, la verità in cui crede. Gesù testimonia la verità, che è la Parola del Padre (Gv 17, 17) e per questa Parola egli dà la vita. Vita per vita, parola per parola, amore per amore. Gesù è l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio (Ap 3, 14); in Lui c'è solo il sì, per sempre e da sempre e in questo sì Egli ci offre tutta la verità del Padre, di se stesso, dello Spirito e in questa verità, in questa luce, egli fa di noi il suo regno. "Quanti confidano in lui, comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore" (Sap 3, 8-9). Non cerco altre parole, ma rimango solamente presso il Signore, sul suo seno, come Giovanni, in quella notte; così egli diventa il mio respiro, il mio sguardo, il mio sì, detto al Padre, detto ai fratelli, come testimonianza d'amore. Lui è il fedele, Lui è il presente, Lui è la Verità che io ascolto e dalla quale mi lascio solo trasformare.

6. Salmo 20

Canto di ringraziamento per la vittoria
che ci viene da Dio

Rit. Grande, Signore, il tuo amore per noi!

Signore, il re gioisce della tua potenza,
quanto esulta per la tua salvezza!
Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,
non hai respinto il voto delle sue labbra.

Gli vieni incontro con larghe benedizioni;
gli poni sul capo una corona di oro fino.
Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi giorni in eterno, senza fine.

Grande è la sua gloria per la tua salvezza,
lo avvolgi di maestà e di onore;
lo fai oggetto di benedizione per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.

Perché il re confida nel Signore:
per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.
Alzati, Signore, in tutta la tua forza;
canteremo inni alla tua potenza.

7. Orazione finale

Padre, ti lodo, ti benedico, ti ringrazio perché mi hai condotto insieme al tuo Figlio Gesù nel pretorio di Pilato, in questa terra straniera e ostile, eppure terra di rivelazione e di luce. Solo tu, con il tuo amore infinito, sai trasformare ogni lontananza e ogni buio in luogo di incontro e di vita.
Grazie perché hai fatto sorgere il tempo santo della consolazione, nel quale mandi il tuo Agnello, seduto sul trono, come re immolato e vivente; il suo sangue è rugiada ristoratrice, è unzione di salvezza. Grazie perché Lui mi parla sempre e mi canta la tua verità, che è solo amore e misericordia; vorrei essere uno strumento nelle mani del re, di Gesù, per trasmettere a tutti le note consolatrici della tua Parola. Padre, ti ho ascoltato, oggi, in questo Vangelo, ma ti prego, fa' che le mie orecchie non si stacchino mai da te, dal tuo Figlio, dal tuo Spirito. Fammi rinascere, così, dalla verità, per essere testimone della verità.