Omelia (14-12-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Gioiosi si, ma come?

Si insiste ancora una volta sulla gioia. Alla pari delle domeniche precedenti, anche la liturgia odierna sottolinea con forza che nell'imminenza della venuta del Signore il cristiano non può che rallegrarsi di fronte alla prospettiva della salvezza che avverrà per lui.
Questa volta le motivazioni dell'allegria ci provengono in primo luogo dal Profeta Sofonia che annuncia l'intervento liberatore di Dio nei confronti di Gerusalemme: alla "Figlia di Sion" verranno revocate tutte le condanne inflittele attraverso l'esilio a Babilonia; addirittura sembrerebbe che se in un primo momento il nemico oppressore (i Babilonesi) potevano essere strati "strumenti" della giustizia divina nei confronti di Gerusalemme, adesso il perdono di Dio nei confronti della città eletta è tanto e tale che Dio si volge "contro" il popolo oppressore, promettendo di "disperderlo", cioè non soltanto di renderlo inoffensivo, ma addirittura di allontanarlo definitivamente.
Alla gioia esorta anche San Paolo, quando afferma: "Rallegratevi! Ve lo ripeto ancora, rallegratevi" e invita a prescindere dalle situazioni difficili della vita presente in vista del dono futuro.

Questo è sufficiente a fondare la gioia, la letizia e l'esultanza, giacché il popolo avvertirà il sollievo della liberazione avvenuta dopo la vessazione della schiavitù e della condanna; come affermavamo in precedenza vi è la condizione importante per la quale se si vuole usufruire di tanto dono divino e di tanta letizia ci si deve convertire, e l'invito alla conversione resta radicale anche adesso, nella lettura di Giovanni che annuncia un battesimo in "Spirito Santo e fuoco" ossia un Battesimo di pulizia totale e di rinnovamento, se è vero che il fuoco rappresenta nella Scrittura sia l'eliminazione del marcio sia il rinnovamento in vista della missione. (come a Pentecoste). Come si potrebbe ricevere il Battesimo pneumatico di Cristo, se prima non ci si predispone ad esso attraverso il radicale mutamento della mentalità e dei costumi, ossia attraverso la conversione?

Tale condizione tuttavia nulla toglie alla gratuità del dono divino e al carattere della gioia che esso comporta. Anzi, la conversione è necessaria proprio perché da essa scaturisce l'attitudine alla letizia e all'esultanza.
Infatti, se, come dicevamo all'inizio, la liturgia odierna muove in continuità con quanto si affermava nelle domeniche precedenti, ecco che essa dall'altro canto si sofferma anche sulle modalità con cui espletare siffatta gioia, soprattutto attraverso la domanda riportata nel Vangelo: "Che cosa dobbiamo fare?"
Appunto: che cosa si deve fare in concreto, a prescindere dalle riflessioni sulla Bibbia e dai nostri ritiri spirituali (senz'altro di grande utilità!) e dalle speculazioni teologiche?
E' molto semplice: innanzitutto convertirsi, ossia convincersi della necessità di abbandonare la mentalità e le convinzioni che prima potevano legittimare il peccato; quindi cambiare impostazione culturale e mentalità. Di conseguenza affidarsi a Dio rendendosi conto del dono di cui Lui si sta rendendo apportatore... E poi? Poi, manifestare a tutti che essersi convertiti a Dio è indice di benessere interiore e di felicità; in parole povere sorridere, non disperare nelle situazioni avverse che comunque sono destinate a passare, cercare di non considerare le avversità ma mirare piuttosto ai traguardi, alle ambizioni legittime e ai propositi di bene; dimenticare quel malinteso o quel dissapore che ho potuto avere con il mio vicino di casa o con l'amico, ripristinando il dialogo come se nulla fosse avvenuto, quindi manifestare questa gioia e serenità di spirito attraverso opere concrete di carità e di servizio, in primo luogo verso i bisognosi che più ci stanno vicini, quali i parenti che si trovano in difficoltà o semplicemente hanno bisogno di un favore.... Quindi la carità operosa verso gli estranei.
Che altro vuol dire infatti la risposta di Giovanni Battista alla domanda precedente: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha", se non il riferimento alla generosa oblazione di noi stessi nelle opere di bene?
Chi si mostra ben lungi dal coltivare i propri esclusivi interessi egoistici e mostra interesse verso gli altri non potrà che vivere l'allegria e la letizia di cui si parla tanto in queste settimane, giacché vi è molta più soddisfazione nel dare che nel ricevere e si riscontra molta contentezza nel riscontrare di essere stati utili a qualcuno.
Aggiunge poi Paolo: "Non angustiatevi di nulla, ma esponete a Dio le vostre richieste". Altrove dirà "Vincete il male facendo il bene". Per implicito attesta all'esortazione a vivere la letizia anche nella prova del dolore e dell'avversità, ben consci che Dio saprà apportare le giuste ricompense.
Proprio perché convinto di Gesù Cristo e perché di Lui resosi partecipe il cristiano allontanerà il pericolo più astratto di dover rendere l'idea agli altri di essersi sottoposto ad un giogo o ad una condizione di masochismo e/o frustrazione insopportabile: nel suo agire sarà invece vispo e sereno, e quella sarà la testimonianza di Cristo agli altri.


LA PAROLA SI FA' VITA
-Spunti per la riflessione-

--L'ascolto della Parola di Dio ogni domenica mi sprona a domandarmi: "Che cosa posso FARE di meglio una volta uscito dalla Chiesa?"

--Riesco a dimenticare e a mettere da parte i conflitti avuti in precedenza con amici o conoscenti? Sarei disposto a riavvicinare "quella persona" a prescindere dal diverbio o dal malinteso che ho avuto con essa?

--Riconosco che tutto quello che mi viene proposto dalla Chiesa sia da accogliersi con entusiasmo e motivazione, quindi da adottarsi con gioia, oppure mi do' facilmente alle rimostranze e alle critiche?

--Mi sforzerò di sorridere tutte le volte che mi capita un guaio... Penserò ai successi raggiunti, ogni qual volta mi si presenterà l'occasione delle lacrime.