Omelia (01-11-2011) |
don Alberto Brignoli |
I Santi, nostri concittadini La ricorrenza che ogni anno ci fa incontrare con le figure e le vite dei Santi nella loro totalità è, per noi credenti, anche motivo di interrogativi, oltre che di preghiera e di riflessione. I Santi sono senza ombra di dubbio figure da invocare, come intermediari di Grazie presso Dio, e quest'oggi in modo particolare; ma non possiamo rinunciare a farci delle domande su queste figure di eroi nella fede che ci appaiono sempre come molto potenti e capaci di ottenerci da Dio ciò di cui più abbiamo bisogno. E la domanda che ci poniamo oggi è fondamentalmente una: perché questi sono "Santi"? Perché li chiamiamo così e li veneriamo come tali? In definitiva, che cosa significa essere Santi? Sono convinto che ogni anno, in questa circostanza, cerchiamo di avvicinarci alle figure dei Santi delineandone atteggiamenti e comportamenti che ce li facciano sentire più vicini, più prossimi a noi di quando li vediamo rappresentati da un dipinto, da una statua, oppure di quando li troviamo rinchiusi in un piccolo reliquario o tra le pagine di un libro agiografico. Vorrei anch'io, quest'oggi, cercare di capire qualcosa di più delle loro vite, per cogliere quanto loro possano essere stati simili a noi. E vorrei farlo "in negativo", ossia non cercando di capire cosa significhi essere santi, cosa che poi ci potrebbe frustrare, nel nostro tentativo di imitazione, ma di comprendere cosa "non" significa essere santi; perché purificare le nostre idee da un immaginario idealista che sempre costruiamo intorno alle loro figure, a mio avviso contribuisce a farceli sentire più simili a noi di quanto possiamo pensare. E ne abbiamo maggiormente la percezione quando viene elevato alla gloria degli altari qualcuno che abbiamo avuto modo di conoscere di persona. Ho avuto la fortuna, molti anni fa, di stringere la mano, come chissà quante altre persone, a Giovanni Paolo II e a Madre Teresa di Calcutta: ma mentre lo facevo non avevo assolutamente l'impressione di avere davanti a me due corpi di santi, ma certamente di due grandi personalità, eppure semplici persone come noi. Cosa non significa, quindi essere santi? Innanzitutto, non significa essere perfetti: né di carattere, né tantomeno nel comportamento. Perché i Santi, perfetti non lo erano e non avevano neppure la percezione di esserlo. Non significa essere pacifici e mansueti, altrimenti gente come l'attaccabrighe Girolamo o il poco affabile Padre Pio non rientrerebbe nella schiera dei santi. Non significa essere seri e compassati, altrimenti Filippo Neri sarebbe tutt'altro che un santo. Non significa nemmeno essere calmi e pazienti: ne sa qualcosa un cuore irrequieto come quello di Agostino d'Ippona. Ma la perfezione dei santi non è neppure assoluta fedeltà a Cristo: chiedetelo al principe degli apostoli, Pietro, che promette all'amato Maestro di seguirlo sulla croce e poi lo rinnega. Non parliamo della coerenza di vita, perché Paolo di Tarso non ebbe sin dall'inizio un grande amore verso il messaggio di Cristo. E cosa dire dei comportamenti morali irreprensibili, se Maria di Magdala si è dovuta far guarire da "sette demoni", come dice il Vangelo? E della rigidità di Ignazio di Loyola e dell'intolleranza dei Figli di Zebedeo? Essere santi non significa nemmeno stare tutto il giorno in preghiera o rinchiudersi in un convento, oppure ricercare a tutti i costi la povertà e l'abnegazione rinunciando ad una vita di onori, altrimenti non avremmo re, principi e regine tra di loro... Di certo, a tutto questo è facile obiettare dicendo che non dobbiamo guardare alla loro vita anteriore, ma a quella che ne consegue dalla scoperta e dall'incontro con Cristo. Mentre io sono assolutamente convinto del contrario, ovvero che la loro santità è tale perché non rinnega la loro vita passata, il loro carattere, il loro temperamento, i loro limiti comportamentali, le loro debolezze. Certamente hanno avuto anche qualcosa di eroico, che rappresenta ciò per cui li ricordiamo e li veneriamo. Ma stiamo attenti a collocarli su dei piedistalli per non toglierli mai più da lì, perché faremmo loro un grande torto. Ciò che fa di loro dei santi e quindi dei modelli è fondamentalmente la Misericordia: quella sperimentata, innanzitutto, per tutte le volte che si sono lasciati incontrare dal perdono di Dio che dava loro la possibilità di rialzarsi e di ricominciare da capo; e poi, di conseguenza, quella offerta ai fratelli come risposta alla grazia e all'amore ricevuto da Dio. Allora i santi diventano nostri concittadini e nostri compagni di vita: quando ci mostrano la grandezza della normalità, l'eroicità dell'ordinario, la straordinarietà delle cose semplici. Quanti santi vivono al nostro fianco la vita di ogni giorno senza che nessuno mai li eleverà alla gloria degli altari! Quanto santi possiamo e dobbiamo essere pure noi, nonostante, anzi, a partire dalla consapevolezza delle nostre debolezze: perché è nella nostra debolezza che si manifesta la potenza di Dio, l'unico Santo tra Tutti i Santi. |