Omelia (01-11-2011) |
don Luigi Trapelli |
Chiamati alla santità Oggi è un grande giorno di festa. E' la nostra festa. La festa di tutti i Santi, quelli sul calendario, ma anche coloro che, nella loro vita normale, vivono una santità. In fondo, ogni cristiano aspira a vivere la santità. Pensiamo solamente a quelle tante persone che ci hanno precedute nel segno della fede e hanno donato a noi la fede. Il Vangelo delle Beatitudini è un testo che ci mette sempre in crisi. Noi siamo beati, perché Dio agisce in questo modo. E' la Sua grazia, il Suo modo di fare e di essere che mi rende beato, cioè felice. Pensiamo solo alla prima beatitudine, ossia al: "Beati i poveri in spirito" Nel veneto abbiamo una parola "pitocco", che bene esemplifica tale beatitudine. La povertà per Matteo, non è solo materiale, ma è qualcosa di interiore. Allora si capisce di non essere autosufficienti, si torna ad essere dei bambini, ci si curva davanti a Dio e si confida totalmente in Lui. La vita cresce più per quello che riceviamo, che non per quello che doniamo. Anche la seconda beatitudine ci mette in difficoltà, perché dovrebbe essere tradotta in: "Beati coloro che si affliggono". Quindi coloro che si sentono solidali con le disgrazie altrui, sentendosi vulnerabili e quindi portando nella propria vita la sofferenza degli altri. Beati coloro che sanno piangere non solo per se stessi, ma anche per gli altri, ossia non sono insensibili al dolore altrui. Dio ci viene incontro consolandoci, perdonandoci, ricostruendo il tessuto del nostro esistere. L'ultima beatitudine è ancora più forte, perché ci invita ad essere una Chiesa perseguitata ed oppressa. Il Vangelo scomoda, per questo quando si va bene a tutti, vuol dire che qualcosa non funziona. La comunità cristiana esprime la santità scomodando, puntando alla giustizia evangelica, senza puntare al consenso facile. La santità fatta di afflizione, di persecuzione, per essere fedeli a Dio. La santità, poi, richiama il cammino di tanti nostri fratelli e sorelle defunti che hanno dato la vita e, in molti casi, la fede per noi. Siamo chiamati a recuperare il culto dei defunti, che abbiamo smarrito in questi anni. Per capire che la nostra autosufficienza ci fa dimenticare l'esperienza della morte, quale parte integrante del nostro esistere. La morte viene già sperimentata in questa vita, laddove bruciamo energie, viviamo delle malattie, finiamo dei rapporti di lavoro o di amicizia. La vita ci fa sperimentare un continuo morire, ma per noi cristiani la tragicità della morte viene superata dalla vita nuova che Cristo ha inaugurato. Se sapessimo riscoprire la vita come dono, saremmo meno avidi e possessivi, sentendoci persone chiamate a vivere con gioia la grande esperienza cristiana. Poiché la vita ha un volto nuovo, quello di Gesù risorto alla vita piena. |