Omelia (02-11-2011) |
Gaetano Salvati |
Chi sono i veri morti? La commemorazione odierna deve far riflettere ogni cristiano riguardo la finale destinazione cui siamo indirizzati. La morte, apparentemente, è l'ultima parola dell'uomo; il muro invalicabile contro cui si scontrano e terminano le speranze del domani dell'umanità. Per il cristiano non è così. Infatti, la speranza cui appella san Paolo nella lettera ai Romani (5,5ss), diviene certezza nell'avvenire, promesso e attuato già da Cristo risorgendo dai morti. In lui non siamo inghiottiti nell'oblio del nulla (morte), ma vivi nel suo Amore. Ognuno di noi, oggi, ricorda almeno una persona cara: dei parenti, degli amici, che hanno lasciato profonde tracce in noi, con la loro vita, con le loro azioni e i loro benefici. Monumenti funebri, fotografie, ne testimoniano ampiamente. Per il cristiano, commemorare i defunti, i quali solo Dio conosce la fede, significa, prima di tutto, pregare per loro. Pregare, partecipare ai sacramenti e ascoltare la Parola, è il modo migliore per sentire la loro vicinanza. Pregare, perché, nel silenzioso dialogo tra noi e Dio, la Chiesa pellegrina nel tempo è intimamente unita con la Chiesa celeste per cantare, insieme, le lodi al Salvatore. Partecipare ai sacramenti, perché, mangiando il pane eucaristico, la comunità anticipa già ora ciò che gusterà pienamente nel regno di Dio. Infine, ascoltare la Parola di Dio, perché, nella sua apparente tranquillità, è racchiuso il coro armonioso ed entusiasmante del Paradiso. A questo punto sorgono alcune riflessioni. Se Cristo è risorto, sconfiggendo la morte, anche i nostri cari estinti, che hanno creduto in Lui, partecipano alla gloria senza fine della vita eterna. Lui è il nostro Paradiso, la dimora sicura e meravigliosa cui riposano i nostri cari, in attesa della risurrezione nell'ultimo giorno (Gv 6,40). Tale rifugio attende anche le nostre anime, se abbiamo corrisposto all'amore infinito del Redentore. Dunque, chi sono i veri morti? Quelli che chiamiamo defunti, i quali godono della presenza del Figlio; oppure, noi, che continuamente, cerchiamo di avvicinarci alla luce? Coloro che hanno vissuto nella speranza, e nella speranza sono anche morti, ora "vivono" in Cristo. Per cui i veri morti siamo noi, non loro. Noi, prigionieri dei meccanismi del mondo, fatichiamo a guardare verso l'alto, verso gli orizzonti della nostra meta futura. Loro, invece, non faticano più: si riposano fra le braccia del Padre, e pregano per noi. Fratelli, la speranza, ottenuta con il sangue dell'Agnello, afferma con forza che un giorno risorgeremo con Cristo, cioè staremo alla sua presenza. In lui la morte non esiste più. Solo la certezza di un incontro e un riposo senza fine. Con la mente protesa verso i beni che un giorno godremo, meditiamo l'amore di Dio, che non ci lascia nel buio della morte, ma nella luce eterna, nel luogo della pace. Amen. |