Omelia (30-11-2003)
don Fulvio Bertellini
Il pane della speranza

Il mondo della disillusione

Il tempo di Avvento è attesa della venuta ultima del Cristo, quello stesso Gesù di cui nel Natale celebriamo la venuta nella storia. Il Figlio di Dio si fa uomo, bambino, povero: e come tale chiede di incarnarsi nella nostra storia, nell'attesa che venga la fine della storia. Una realtà ostica da digerire, per un mondo che ha smarrito i grandi ideali e tende a vivere nella disillusione e nel disincanto. Il presente fa paura (guerra, crisi economica, terrorismo...), il futuro appare incerto, non solo a livello mondiale, ma anche nelle nostre piccole realtà. E' forte la tentazione di vedere tutto in negativo: una società in trasformazione, sempre più immigrati e sempre meno italiani; sempre più lavoro precario e sempre meno possibilità di progettare il futuro; sgretolamento inesorabile dei valori, giovani sempre più fragili, incapaci di reagire alle piccole sconfitte della vita quotidiana...

Un anno giubilare

Proprio in questo nostro tempo ci viene proposto un anno giubilare per la Chiesa mantovana. E ci viene detto "date loro voi stessi da mangiare". Mentre forse ci verrebbe da dire: "non abbiamo neanche i pani e i pesci"! D'altra parte siamo già sazi (forse anche obesi) e per un po' prevedibilmente lo resteremo, nonostante i rincari portati dall'euro. Non abbiamo bisogno di ingozzarci ulteriormente, né di un divertimento supplementare. C'è però qualcosa che dobbiamo tornare a "mangiare" e a condividere: il pane della speranza. A questo ci chiama la Parola di Dio con cui comincia l'Avvento.

Fine del mondo

Due sono le voci e le trame che si intrecciano nel capitolo 21 di Luca: la presentazione simbolica della fine (che a sua volta si sdoppia in "distruzione di Gerusalemme" e "sconvolgimento cosmico"), e la presentazione pratica dell'atteggiamento dei discepoli. L'evangelista scrive dopo la distruzione di Gerusalemme, che aveva suscitato enorme imprssione e sconforto nella comunità ebraica, a cui ancora la Chiesa era in qualche modo legata. Luca da un lato ridimensiona la portata dell'evento, dall'altro invita a coglierne la portata simbolica: non è la catastrofe finale, ma la fine di un'epoca nella storia della salvezza. E' cominciato il tempo della Chiesa, chiamata a vivere in mezzo ai pagani, nell'attesa della venuta di Cristo. La fine di Gerusalemme può aiutare a comprendere che cosa accade a chi non sa riconoscere il tempo della venuta del Signore. Nella seconda parte del capitolo non si allude più alla distruzione di Gerusalemme, ma alla "fine cosmica". Una serie di sconvolgimenti è il preludio alla venuta del Figlio dell'uomo. Il linguaggio usato è chiaramente apocalittico: una serie di immagini e simboli convenzionali per indicare una profonda trasformazione del mondo e dell'uomo.

L'anticreazione

Sole, luna, stelle sono infatti i punti di riferimento essenziali per l'immagine del cosmo dell'uomo antico; il mare e la potenza delle acque sono simboli caotici, della negatività che minaccia di sommergere il creato. L'origine di queste immagini affonda le sue radici già nella primitiva letteratura profetica, che vede nello sconvolgimento del creato un parallelo del peccato dell'uomo: se l'uomo stravolge la giustizia, corrompe il giudizio, opprime i poveri, infrange l'alleanza con Dio, corrispondentemente le piogge vengono a mancare, la terra si riduce a deserto, il giorno si trasforma in notte... anche la nostra realtà ci mostra guerre, ingiustizie, corruzione, perdita di senso e di valori: un'umanità che non corrisponde al progetto creatore di Dio.

Speranza in un mondo nuovo

Di fronte ai segni della fine, l'invito del Vangelo è paradossale: alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Il discepolo crede in un mondo nuovo; crede che la storia è un cammino di liberazione, di cui Dio stesso ha le redini. La speranza cristiana consente di amare, servire, lottare anche in un mondo incerto, quando le prospettive si fanno oscure, quando i nostri sogni crollano: non sono i nostri sogni che guidano la storia, ma la promessa buona di Dio. Questo ci consente di gustare le gioie del presente, di costruire e progettare il futuro, di reggere alla fatica del cammino.

Dissipazioni, ubriachezze, affanni della vita

Il discorso sembra puramente teorico, ma l'evangelista ci presenta alcuni segnali esteriori che consentono di farci capire se non viviamo nella prospettiva della speranza. Da un lato dissipazioni e ubriachezze: chi non ha futuro, chi non ha progetti, chi rifiuta di crescere e di maturare si dà ovviamente - fin che può - alla pazza gioia. E la paura di ritrovarsi con un pugno di mosche non l'opprime minimamente: è sempre più facile nel nostro mondo sottrarsi alla resa dei conti. Dall'altra parte anche gli affanni della vita sono il contrario della speranza: c'è chi lavora, si impegna, programma, progetta, costruisce... ma tutto nella prospettiva del presente. Non c'è più spazio per Dio, né per le persone, né per i valori. Tutto è assorbito dal fare. Schematicamente, potremmo dire che i nostri giovani appartengono al primo tipo; i nostri adulti al secondo. Ma allora chi è l'uomo di speranza, che crede nel mondo nuovo di Cristo?


Flash sulla I lettura

Il titolo di "germoglio" nei libri profetici ha un chiaro sapore messianico, ed è solitamente riferito ad un discendente della casa di David. Nei libri di Samuele David è presentato come un grande re, fedele a Dio, che compie l'unificazione delle dodici tribù in un unico regno potente e coeso; l'unità continua con suo figlio Salomone, e si spezza poi con il figlio di quest'ultimo, Roboamo. Il popolo si divide in due regni: il regno del Nord, con dieci tribù, e il regno del Sud, con le tribù di Giuda e Beniamino, su cui continua a regnare la casa di Davide. Nei libri dei Re il giudizio sulla divisione del regno è severo: si tratta di una diretta conseguenza del peccato del re Salomone, che nel suo splendore ha dimenticato di essere in tutto fedele a Dio, e ha adorato gli dei delle sue mogli straniere. D'altra parte, l'inimicizia tra le due fazioni in cui si divide il popolo è anch'essa una conseguenza del peccato, che porta a dimenticare la fratellanza e il riferimento all'unico Dio. Il tempo messianico è annunciato dal profeta come il tempo di un re giusto, in tutto discendente di Davide (non solo dinasticamente, ma anche nella fedeltà a Dio e nella "giustizia" verso il popolo di Dio), e come tempo di unità: la promessa riguarda sia la casa di Israele, sia la casa di Giuda. In Gesù noi vediamo il germoglio di Davide, che realizza le antiche promesse, e che dà impulso decisivo al progetto di Dio, che non riguarda più solo i due tronconi dell'antico popolo di Israele, ma è progetto di unità e di giustizia per tutti i popoli.

Flash sulla II lettura

"Crescere e abbondare... distinguervi ancora di più": l'idea dominante di questa esortazione è la crescita. La vita cristiana non è esistenza statica, chiusa, ottusa e conservatrice; proprio il tempo di Avvento, ricordandoci la venuta ultima del Signore, ci rimette in movimento, ci invita ad essere operosi, ci spinge a proseguire.
"Amore vicendevole e verso tutti": la carità deve crescere sia sotto il profilo qualitativo, sia sotto il profilo quantitativo. La qualità della carità consiste nella reciprocità: non tanto quindi nel fatto di amare più intensamente, quanto nel fatto che l'amore è intensamente ricambiato, è vissuto da entrambi i lati. E' facile scambiare un amore inespresso e unilaterale per un grande amore, non solo nell'ambito affettivo, ma anche nell'ambito pastorale e spirituale. La reciprocità va coltivata, continuamente decentrandosi, mettendosi in ascolto, accogliendo il punto di vista dell'altro. Sotto il profilo quantitativo, Paolo parla di "amore verso tutti": leggendo la sua lettera, è chiaro che non si tratta di una totalità generica, ma di una totalità concreta: sono tutti i membri della comunità di Tessalonica, tutti gli abitanti della città, tutte le persone che essi incontreranno... l'amore autentico non può essere generico (e per questo è scomodo...).
"davanti a Dio padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi...": la carità è cristiana nella misura in cui è vissuta nella fede (davanti a Dio) e nella speranza (al momento della venuta del Signore nostro Gesù). Una consapevolezza e un radicamento che devono anch'essi crescere, perché la nostra carità sia sempre più trasparente segno dell'amore di Dio.