Omelia (30-11-2003) |
mons. Antonio Riboldi |
STATE BENE ATTENTI Possiamo definire questa prima domenica di Avvento come il Capodanno dell'anno del Signore. Per tantissima gente, anche battezzata e che quindi dovrebbe essere immersa nella sequela di Cristo, tanto da sentirsi nella celebrazione dell'anno liturgico, come nella anticamera di attesa del Regno di Dio, le parole "anno liturgico", "avvento", sono parole insignificanti, che non hanno influenza sulla vita che più conta, quella cristiana. Lo impegnano, questo "santo tempo", superficialmente. Ed è già molto, perché spesso l'avvento diventa motivo di un rituale pagano che, strumentalizzando il sacro, traduce questo nella grande fiera di vanità, di spese, che tutti conosciamo. Proviamo allora ad entrare nel tempo di Avvento, per viverlo come un camminare sui passi di Gesù, nella vita, giorno per giorno, conformandoci a Lui: prima attendendoLo, poi faticando per arrivare a quella conoscenza che Gli farà dire come nell'ultima cena, "Ora non vi chiamo più servi, ma amici, perché tutto quello che il Padre mi ha rivelato, l'ho fatto conoscere a voi". Credo che tutti voi, miei carissimi lettori, abbiate udito il lamento di dolore della Chiesa, nel vedere come il nostro tempo stia come sbarazzandosi di Dio, ritenendoLo non necessario per la vita, come se l'uomo potesse avere ancora una ragione per vivere senza Dio. Assistiamo, con grande dolore, a come le nostre assemblee si rendano sempre più insignificanti; come un obbligo da soddisfare più che una gioia da condividere con Cristo. La gente, anche se è stata battezzata e quindi appartiene alla famiglia del Padre, sembra fermarsi alla superficie dei riti che celebra, facendoli alle volte diventare motivo di consumismo, ma senza entrare nel vero significato che portano il Battesimo, l'Eucarestia, la Cresima, il Matrimonio. Cerimonie da album di foto da conservare, non momenti di altissima vita con Cristo e di impegno. A volte ci si imbatte in gente, pronta a mettere sugli altari uomini che brillano per motivi che sono altari alla superbia e nulla, ma proprio nulla, hanno da dirci sul vero valore della vita, che solo Dio che ci ha creato, sa dare. Dio si fa trovare nella Sua Parola, ossia nella Sacra Scrittura, nei Vangeli. E' lì che avviene non solo l'incontro, ma la conoscenza e dalla conoscenza viene l'amicizia vera. Oggi l'impegno di tutta la Chiesa è "tornare a resuscitare la fede" proprio con l'annuncio della buona Novella. Non si può amare e tantomeno seguire chi non si conosce. Dice Gesù nell'Ultima Cena: "Non vi chiamo più servi ma amici, perché tutto quello che il Padre mi ha rivelato, l'ho fatto conoscere a voi". "La Santa Madre Chiesa, - dice il Concilio - considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in giorni determinati nel corso dell'anno, l'opera della salvezza del Suo Sposo Divino...Nel corso dell'anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo dall'Incarnazione alla Natività fino all'Ascensione al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore". Possiamo allora affermare con gioia che inizia l'attesa della venuta del Signore. Un'attesa che è come l'irrompere di Dio nella nostra vita, una irruzione che svela il meraviglioso piano del Padre: un piano nascosto ma che ha sempre dell'inaspettato e nei veri cristiani del sospirato. "Verrà il giorno del Signore - dice il Vangelo - e vedranno il Figlio dell'Uomo venire sulle nubi con potenza e grande gloria. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso" (Lc. 21,25-36). E deve essere il vero grande giorno quello in cui Gesù farà irruzione nella nostra vita: il giorno, che può essere oggi, ci forgerà nella sua conoscenza fino a fare sparire le croste che si sono addensate sulla bellezza, uscita dal Cuore del Padre, creandoci: croste che spesso ci fanno prendere la figura di un deserto senza vita o di un clown senza verità e storia, o di un fiume inaridito, che sa solo raccontare una vita che non c'è più. Il giorno, - e ripeto può essere "l'oggi dell'Avvento – in cui la Parola di Gesù si fa vicina e bussa alla nostra porta...ma solo se noi la apriamo quella porta aperta diventerà il segno della pietra del sepolcro da cui Gesù è risorto e noi con Lui. Ma come in ogni attesa, occorre avere le orecchie aperte, come quando la notte si sta con il fiato sospeso, percependo, ancora prima del rumore dei passi della persona cara che si avvicina, il respiro della sua presenza. Ma viene da domandarsi seriamente: "interessa ancora l'amore di Dio che vuole farsi vicino con la venuta del Suo Figlio diletto, Gesù, tra di noi? Fa ancora sussultare di gioia sapere che siamo con certezza tutti nel Cuore del Padre e a Lui siamo tanto cari?" Avete mai pensato come un giovane ed una giovane, innamorati, si attendono, facendo di tutta la giornata un desiderio, quello di incontrarsi? Lo stesso potremmo dire di tutti quelli che si vogliono bene. Volersi bene è come "essere dentro la vita l'uno dell'altro" fino ad occupare ogni spazio. Ma se, al contrario, come può succedere con Dio-Amore, non si conosce, neppure se ne sente il bene e la necessità. Come quando la gente si incontra per strada: non prova alcun interesse, perché nessuno di chi si incontra occupa un posto anche piccolo nella vita. Noi oggi diciamo che nelle nostre Chiese, almeno la domenica, c'è ancora tanta gente, non solo, ma forse senza approfondire la grandezza di ciò che affermiamo, diciamo che siamo tutti "battezzati, ossia figli del Padre". Ma è davvero Dio il grande "amico" a cui si dona tutto ciò che siamo e facciamo? E' bene porcele queste domande in un tempo proprio di "attesa", ossia l'Avvento. Sappiamo tutti che questo tempo di "attesa", corriamo il grave rischio di vedercelo scippare dalla mentalità del mondo che vede il Natale come una grande abbuffata di altro interesse. C'è nell'aria non l'attesa di Dio, ma di doni, che sono l'effimero che parla poco di amore, viene cancellato presto come le piccole luci che mettiamo attorno agli alberi di Natale. Mette tanta tristezza questo trionfo del consumismo, che oscura la notte di Gesù, la notte della povertà della Grotta, dove aveva posto solo un grande amore. Una grotta dove però trovavano posto tutti i poveri, compresi noi, della terra, di ogni tempo...perché l'amore, quello vero, che viene dal Cielo non si china mai su ciò che passa e inganna. Noi vorremmo essere tra quelli che sanno cercare o attendere il Bene che non ha confine, quello di Dio. Conobbi, ed era mio Padre spirituale, un grande poeta, Don Clemente Rebora. Aveva passato una parte della vita senza occuparsi di Dio, fino a quando Dio irruppe nella sua vita e si convertì totalmente a Lui. Che santo! Così descrive il difficile momento della sua attesa di Dio. "Perso nell'ideale strada non fai cogli di gioventù l'ora propizia afferra per il ciuffo la fortuna che ha la nuca calva ...Come Adamo, sedotto, a farla mia, precipitando a morte proclamai: Scelgo la buona sorte e nella frode piacer caduto sussurrava la gente scaltrita! adesso conosci la vita". E così descrive il suo incontro con Gesù: "E venne il giorno che in divin furore la verità di Cristo mi costrinse a giustiziar e libri e scritte e carte. Oh sì che quello fu un gran bel stracciare. Allor...mi sentii in libertà felice. Ed ecco repentino a me salire dal fondo del fracasso della strada un patetico annuncio a me ben noto: "Strascèe (straccivendolo) Egli pesta passo per passo all'ultimo gradino, ingombra il sacco sopra la stadera e per poco prezzo quella roba tolse. Il cittadino accendere della sera mi ritrovò solo a ripensare il tempo. L'anima mia, posta nell'eterno mestizia forse, non tristezza colse" (dalle poesie di C. Rebora). Magari fossimo capaci anche noi di affidare allo straccivendolo le falsità della vita, per sentire la nostra anima divenuta dimora di Dio. |