Omelia (30-11-2003) |
Paolo Curtaz |
Pericolo di morte Reloaded. Ricominciamo un nuovo anno liturgico: le vetrine addobbate di rosso e le tante (troppe?) luminarie nelle strade del centro ci avvertono che la minaccia del Natale ci sta per piombare addosso. Preoccupazioni legittime su come risparmiare qualche euro nel rito del regalo inutile e schiere di babbinatale assiepati dietro gli angoli bui pronti a sbranarci. Ma vi piace davvero il Natale? Vi piace davvero tutto questo forzato buonismo, questa collettiva manifestazione a scadenza? Sono 14 anni che sono prete e a parte l'angoscia della preparazione dei presepi viventi mi sono accorto – sconcertato – di un dato sociale spaventoso: a Natale la sofferenza media della popolazione esplode. Non ho mai fatto una statistica, ma l'impressione è che un buon 50% della gente aspetta Natale come un inucbo, lo vive come il peggiore giorno dell'anno. D'altronde: sin d'ora (un mese prima!) ci arrivano dagli schermi immagini di famigliole serene che addentano panettoni intorno ad un gigantesco abete addobbato. E chi è solo, chi ha vissuto un fallimento matrimoniale, i tanti che non sono contenti di loro stessi, chi è in carcere, come pensate che vivano questa melassa incombente? Con dolore, appunto. Piglio polemico, quest'anno, caro don. No, amici, sano realismo e voglia di ridefinire l'avvento, di capire queste quattro preziose settimane, antidoto all'altronatale, occasione di guardare dentro, sveglia teologica, buona novella, buona novella, buona novella. Perché, come la parabola di Luca, dobbiamo aggrapparci al piolo della Parola di Dio per non essere spazzati via dall'alluvione del consumismo in piena, perché abbiamo bisogno di sentire Geremia (il pessimista e lamentoso!) che promette la realizzazione del bene che Dio vuole ad Israele, ci urge l'ammonimento di Paolo a crescere nell'amore aspettando il ritorno di Gesù. Mai una festa di compleanno è stata così rovinata, mai così stravolta, Natale che doveva significare silenzio e stupore davanti al mistero di un Dio che si compromette, è diventato la fiera degli improbabili buoni sentimenti che non sclazano, non irritano, non convertono ma, anzi, anestetizzano, tranquillizzano, emozionano e asfaltano. Così che la sconcertante presenza di Dio diventa sussulto emotivo davanti ad un neonato carino e indifeso. Ah, che mistero che è il cuore dell'uomo, che abisso il suo pensiero che non sa vedere, non saleggere, non sa capire! Disastro, tragedia, ansia e angoscia se non siamo capaci di levare il capo, come dice Gesù, levare il capo e alzarci in piedi perché la liberazione è vicina. Benedetto Dio che si è raccontato, benedetto Dio che è venuto a scuoterci nel torpore mortale delle nostre abitudini, benedetto Dio che in Gesù si racconta e ci salva. Ecco allora la necessità di vivere bene questi giorni, senza appesantirci in dissipazioni (la vita sbrindellata in mille corse quotidiane), in ubriachezze (ciò che intontisce, dalla tivù al possesso) e affanni (se avessi un altro lavoro, se pesassi meno, se fossi...). Vegliamo e preghiamo, cavolo, fermiamoci ogni giorno per non essere spazzati via dalla quotidianità, dal dolore, dall'attesa inutile di ciò che non può salvare, perché possiamo sfuggire a tutto ciò che deve accadere e comparire davanti al Figlio dell'uomo. Certo Gesù è già nato, e tornerà nella gloria, ma ora deve nascere in noi, in me, perché la vita è questa ricerca, la vita è questo incontro sereno e misterioso. Sì, l'avvento serve a prepararci ad un appuntamento unico, comparire davanti al Signore, perché lui ci sarà, statene certi, ma noi potremmo non esserci, soffocati dall'ansia natalizia, spazzati via dal delirio quotidiano, sconfitti e rassegnati, infine.Siateci, ve ne prego, perché fuggire davanti ad un Dio consegnato per amore? |