Omelia (15-11-2011)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Seconda Maccabei 6,18-19

Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell'aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s'incamminò volontariamente al supplizio.
2 Mac 6,18-19


Come vivere questa Parola?

L'episodio narrato nel secondo libro dei Maccabei riguarda la rivoluzione maccabaica a proposito delle imposizioni provocatorie dei Seleucidi contro Israele nel secondo secolo prima di Cristo.

A Eleazaro, una persona anziana colta e piena di fede, è imposto di tradire le leggi sacre per obbedire al re. Da notare: c'è chi, stimandolo e volendolo ad ogni costo strappare alla morte, gli propone di fingere obbedienza al re, mangiando non carne suina proibita, ma un altro tipo di carne che comunque sembri quella imposta. Eleazaro si oppone per due nobilissimi motivi: sia quello di non sopportare la finzione nella sua vita di uomo integro e leale, sia quello di non incorrere nel rischio di dare cattivo esempio. Soprattutto i giovani, infatti, avrebbero potuto credere che davvero Eleazaro avesse ceduto e tradito. A parte il fatto che oggi noi abbiamo difficoltà a capire il motivo di questa morte, perché la nostra fede cristiana non impone osservanze legate all'esclusione di generi alimentari, ci è però dato di apprezzare i motivi ideali, per cui Eleazaro ha preferito morire piuttosto che tradire e scandalizzare.

Oggi, nel mio rientro al cuore, chiederò al Signore il coraggio di vivere fino in fondo le mie scelte di fede, anche quando chiedono un caro prezzo; chiederò anche la grazia di dare, specie ai più giovani di me, testimonianza di lealtà.

Le parole di un poeta

Chi mai può separare la sua fede dai suoi atti, il suo credo dal suo quotidiano? Chi può disporre il suo tempo dicendo: Questo è di Dio, questo è per me? Tutte le vostre ore, tutto il vostro vivere sia la coerenza di un'ala vibrante verso l'Alto.
Kahil Gibran