Omelia (16-11-2003)
don Romeo Maggioni
Non resterà pietra su pietra

per il Rito Ambrosiano
Ml 3,19-20 - 2Ts 3,7-12 - Lc 21,5-19

Si apre l'Avvento, il tempo forte per prepararci al Natale di Gesù e capirne l'incidenza sulla storia.
Quella venuta di Dio nella carne ha concluso una aspettativa, quella messianica, che in queste settimane la Chiesa ci rievoca per acutizzare anche in noi il senso del bisogno di Dio e di una sua salvezza.
Ma ha aperto un'altra attesa: l'attesa di Lui, di Cristo, che al termine della storia ritornerà glorioso a giudicare il mondo, per aprire l'era definitiva della Signoria di Dio.
Di questa fine del mondo parla il vangelo di oggi; ma, sorprendentemente, in un modo tutto diverso da come immagini e convincimenti popolari la descrivono. Gli accenti posti da Gesù sono diversi.

1) NON SARA' SUBITO LA FINE

Un fatto come la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio famoso era parso ai contemporanei "una fine del mondo"; come del resto capita ad ogni epoca quando "si sente parlare di guerre e di rivoluzioni", di "popolo contro popolo e regno contro regno", di "terremoti, carestie, pestilenze", e persino "fatti terrificanti e segni grandi dal cielo". E' chiara in tutti la coscienza che di questo mondo "non resterà pietra su pietra", e la paura della morte sta sempre in agguato in fondo al cuore di ogni uomo. Del resto - io credo - queste catastrofi naturali, se hanno un senso "teologico", è proprio quello di essere un richiamo forte alla nostra precarietà di uomini.

Effettivamente una fine ci sarà, un giudizio sarà fatto che ribalterà le sorti dell'umanità: "Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno; allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà - dice il Signore! Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia". Per i credenti sarà il compimento: "Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria - diciamo oggi nel prefazio - potremo ottenere in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell'attesa". E' certo che tutto finisce; ma per chi s'affida al Dio della vita e della giustizia, alla fine tutto sarà come una nuova creazione, una nuova nascita, un passaggio a "cieli nuovi e a terra nuova".

Con questa ferma fiducia che solo Dio guida la storia, che Lui è "l'alfa e l'omega, il principio e la fine", il cristiano vive in serenità anche in mezzo a tutto l'agitarsi degli uomini e del cosmo, sentendosi sicuro nella buone mani di Dio. Per cui, anzitutto non crede ad altri "salvatori" che a Gesù Cristo. "Molti verranno sotto il mio nome dicendo: Sono io. Non seguiteli". E' il disincanto di noi credenti e il senso critico che abbiamo di fronte ad ogni ideologia o sistema politico-economico, sempre insufficienti a salvare l'uomo dalle sue crisi e fragilità. E poi, non soffriamo di nessun isterismo o di incubi da "mille non più mille", perché Gesù ci ha detto: "Non sarà subito la fine". "Non lasciatevi ingannare - non vi terrorizzate".

E san Paolo: "Riguardo alla venuta del Signore, non lasciatevi così facilmente confondere o turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare per nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente" (2Tes 2,2).

2) RENDERE TESTIMONIANZA

In mezzo ad un mondo agitato, con i segni del crollo e della fine, il credente si trova in una situazione drammatica: è per lui tempo di prova, di persecuzione e di scelte difficili. "Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome". Si dice che Nerone abbia bruciato Roma e dato poi la colpa ai cristiani. Da allora, fino ai nuovi martiri di oggi, ad ogni rivoluzione o scombussolamento politico, i primi ad essere sospettati e accusati sono i cristiani; anche perché in fondo sono sempre quelli che danno più fastidio ad ogni regime totalitario, sudditi come sono di un unico Signore, il nostro Signore Gesù Cristo.

Del resto è troppo radicalmente diverso il riferimento del credente rispetto a quello del mondo, è una concezione tutta opposta, e oggi più di ieri si va divaricando la distanza: il riferimento all'eterno rispetto all'immediato, il riferimento alla solidarietà rispetto all'individualismo, il riferimento ad una sufficienza che ci viene da Dio, compreso il perdono, rispetto all'autosufficienza supponente della nostra cultura. Capita allora di essere "traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome". E là dove non si nota questa drammaticità di rapporti, c'è il sospetto che il vangelo si sia troppo annacquato, e sfiori quel buon senso comune per il quale si dice allora che ognuno "non può non dirsi cristiano"!

E' il dramma del tempo della Chiesa, la difficile scelta di credere e attendere la seconda venuta di Cristo sulla base delle garanzie date alla prima venuta. E' la prova della nostra fede. "Questo vi darà occasione di rendere testimonianza; con la vostra perseveranza salverete le vostre anime". Ma non si è soli in questa lotta, e la vittoria è sicura: "Nemmeno un capello del vostro capo perirà". Non c'è d'aver paura: "Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere". Gesù un giorno ebbe a dire: "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" (Gv 16,33). "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Gv 5,4).

Un tal modo di guardare la fine del mondo - non isterico o spaventato, non deluso o rinunciatario quasi un giudizio non ci sia, consapevole della drammaticità delle scelte - non aliena noi cristiani dalla storia, al contrario ne fa gli unici artefici pieni di speranza proprio perché crediamo alla vittoria di Cristo, cioè del bene sul male.
Da qui l'esortazione di Paolo oggi nella seconda lettura di esser gente attiva e responsabile nel nostro impegno per la storia, a voler anticipare quel regno di Dio che Cristo ora ha affidato a noi da costruire.
Una attesa operosa è quella del credente per l'avvento finale, di cui questo Avvento liturgico vuol essere