Omelia (30-11-2003)
don Romeo Maggioni
Il figlio dell'uomo verrà nella gloria

Ciò che ci angoscia è l'imprevisto, il futuro oscuro e incontrollabile, col sapore sicuro della morte e della fine di tutto. Il futuro è la domanda e il problema!
E o lo si evade, alienandoci "in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita"; o se ne cerca surrogati in negromanti, astrologi e maghi imbroglioni; o ci si affida a risposte di tipo religioso. Ma anche qui è terreno malfermo, infestato com'è di utopie e miti sentimentali senza sicurezza e fondamento di fatti.
Oggi, sul futuro, dell'uomo e della storia, ascoltiamo la risposta di Gesù, chiara e rasserenante, capace di fondare una speranza operosa nel nostro pellegrinare verso l'eterno.

1) IL FIGLIO DELL'UOMO

Cielo, terra, mare..., la nostra precaria abitazione di oggi, sappiamo bene quanta poca sicurezza ci dia. Ogni tanto ci scombussola con eventi apocalittici di fronte ai quali anche la nostra più avanzata tecnologia rimane impotente. E ne sentiamo paura, quasi anticipo di quella catastrofe inevitabile cui è avviato il cosmo materiale. Un gruppo di scienziati ha tentato anche di determinare l'eventuale data di questa fine del mondo: fra 10 alla ottantesima anni. Il dato dice la certezza che tutto finisce. Ne nasce "l'angoscia di popoli in ansia, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte".
Di fronte all'inesorabile corsa verso la fine - fine del mondo, fine della propria vita - nasce la paura, il terrore. Cadono sicurezze; prevale il sentimento della precarietà e fragilità: anche se nascosto o rimosso.

Ma è uno sguardo non reale sulla storia. Su questa macabra previsione umana, si alza oggi luminosa la risposta di Gesù: il mondo non andrà in rovina, la storia non finirà nel caos, ma avrà uno sbocco - imprevedibile nel tempo, ma sicuro nella sostanza -: il momento in cui "il Figlio dell'uomo" apparirà con potenza e gloria grande a portare liberazione definitiva, a iniziare "cieli nuovi e terra nuova". "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Non giorno di paura, ma di liberazione, di rinnovamento, di realizzazione finalmente di quel progetto d'umanità che Cristo è venuto a riproporre alla nostra libertà di uomini ribelli.

A darci questa idea, - più che della fine del tempo, del "fine" del tempo -, sta il fatto della morte e risurrezione di Cristo, vero "modulo interpretativo" di tutta la storia umana. Alla morte in croce di Gesù si fa cenno a segni cosmici ("Si fece buio su tutta la terra; la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono...", Mt 27,45-51), come questi segni della fine del mondo: per dire che quella è stata la prima fine del mondo (o meglio: l'inizio della fine del mondo, o più precisamente: il culmine della storia) per iniziarne uno nuovo. La prima lettura parla della venuta del Messia appunto come di "un germoglio nuovo che fiorisce", cioè di un inizio di mondo nuovo. Questo significa allora non aver più paura della fine del mondo e della nostra morte: si tratta di vederla come l'incontro con Cristo e il regno nuovo. "Levate il capo, la vostra liberazione è vicina". Come lo è stato per la risurrezione di Gesù, cioè una esaltazione.

2) STATE BENE ATTENTI

Si tratta ora di essere attenti e accorti a questa realtà nuova, a questa risorsa sconvolgente gettata nella storia per cambiarne il corso, che è la risurrezione di Cristo e la sua opera di salvezza. E' facile oggi vivere come se Dio non fosse, presi dall'affanno della vita e dalla conseguente esigenza di evasione: "State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e quel giorno - il giorno della nostra morte, la fine del nostro mondo personale - non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra". Può capitare come al ricco Epulone di non accorgersi... che dopo! Ma è troppo tardi. O come è capitato ai suoi fratelli, divenuti così insensibili al richiamo divino che più neanche "se uno risuscitasse dai morti" li potrà persuadere (cf Lc 16,31). E quanti appunto hanno preso sul serio la risurrezione di Gesù?

"Vegliate e pregate in ogni momento" è l'invito concreto di Gesù. La vigilanza prende una sfumatura nuziale quando si vede quell'incontro definitivo con Cristo come il momento atteso delle nozze. Ce lo richiama oggi il prefazio: "A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza, fino a che, nell'ultimo giorno, compiuto il mistero del regno, entrerà con lui nel convito nuziale". L'ultima parola della Bibbia è questo anelito sponsale:"Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni! - Sì, vengo presto! Amen. - Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,17-20).

San Paolo invita poi a tradurre in un amore operoso questa vigilanza e attesa: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi". Per noi cristiani l'operare nel tempo è anticipare il Regno; o meglio, è estendere quella realtà di vita nuova e divina che Cristo ha già posto nella storia con la sua risurrezione. Un grande ottimismo guida la Chiesa di fronte alla storia, forte della fedeltà di Dio alle sue promesse: "Ecco verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene". La nostra speranza è piena della certezza della riuscita del bene che opera: per questo il fare e l'amare per il credente ha uno spessore tutto speciale.

Ecco: il futuro non fa più paura. Posto nelle mani di Cristo che ha già vinto la morte, si apre per noi cristiani come un domani luminoso, come una nuova creazione, il cui anticipo e fermento è già posto in questa attuale creazione perché la lieviti dall'interno per quel nuovo destino.
Siamo così chiamati ad essere portatori di una speranza operosa, di una vigilanza che non evade dal tempo perché nel tempo anticipa l'eterno: è la nostra vocazione di autentici costruttori di un mondo nuovo e di una nuova umanità.