Omelia (25-12-2002)
mons. Vincenzo Paglia
Commento Giovanni 1,1-18 (forma breve: Giovanni 1,1-5.9-14)

Non molti secoli fa, l'Occidente cristiano, colpito dalla bellezza di questa festa e considerandola, a ragione, come il principio della rigenerazione del mondo, festeggiava il nuovo anno, appunto, alla Natività del Signore. E sant'Efrem, paragonando il Natale a Gesù, cantava: "Quel giorno è simile a te; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino ch'è nato... Sa che la natura non potrebbe farne a meno; come te, esso viene in aiuto degli uomini in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita... Sia dunque anche quest'anno simile a te, porti la pace tra il cielo e la terra".
Natale, dunque, "amico degli uomini". Non possiamo non tornare a quelle prime parole del Prologo di Giovanni (è il Vangelo della Messa del giorno) che fissano la grandezza e la tenerezza del Natale: "La Parola si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi". Quella Parola, che "era presso Dio", scese sulla terra e pose la sua tenda in mezzo agli uomini. Divenne, appunto, amica degli uomini, come Gesù disse ai suoi: "Voi siete miei amici" (Gv 15, 14). Questo avvenimento che ha cambiato la storia accadde mentre "era governatore della Siria Quirino" e "Cesare Augusto aveva ordinato il censimento di tutta la terra". Il Natale ci fa rivivere il momento in cui la Parola squarciò i cieli e venne a illuminare la notte che avvolgeva la storia degli uomini. L'umanità intera aveva bisogno di quella luce. Il profeta Isaia, già alcuni secoli prima, aveva affermato: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse", e, quasi pregustando la gioia della Notte di Natale, aveva aggiunto: "Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia...poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio". Ha ragione nel dire: "ci è stato dato un figlio". Quel "figlio", infatti, non viene dalla terra, non è frutto della nostra storia. E' un dono che viene dall'alto, è il più grande dono che Dio potesse fare agli uomini. Di più non era né pensabile né possibile. Scriveva Gregorio di Nazanzio poteva perciò esortare: "Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore!"
In verità - ed è l'altra faccia del mistero del Natale - gli uomini non hanno accolto questo dono e Gesù è dovuto nascere in una stalla, fuori Betlemme. E' senza dubbio molto bella e delicata la tradizione di allestire il presepe in ogni casa, ed è bene intenerirsi al vederla. Ma non si deve dimenticare la triste realtà ch'essa pure esprime: una città, Betlemme, non sa accogliere Gesù. "Non c'era posto per loro nell'albergo", scrive amaramente l'evangelista. Quante volte anche oggi, purtroppo, si deve riscontrare con incredibile frequenza questa stessa amara realtà! Tante città sono come Betlemme, incapaci di aprire le porte per accogliere coloro che hanno bisogno di aiuto, di sostegno, di consolazione. Senza dubbio, il Natale visto dalla parte degli uomini ha i tratti dell'inaccoglienza e spesso della crudeltà. Basti pensare ai drammi che segnano l'inizio di questo nuovo secolo, proprio a partire dalla Terra Santa, dalla stessa Betlemme che vede arrivare armi e soldati e non "pastori". Ben diverso è il messaggio del Natale. Quella notte i cieli di Betlemme furono solcati non da tristi bagliori ma da angeli che annunziavano l'apparizione del grande amore di Dio per gli uomini. Un amore smisurato. Il Natale, visto così, è davvero un Vangelo, una buona notizia assolutamente fuori qualsiasi misura: il Signore scende dal cielo e nasce in una stalla pur di starci accanto. Come non commuoversi?
E non basta. Infatti, è senza dubbio incredibile che Dio venga sulla terra e accetti anche di nascere in una stalla; ma quel che lascia ancor più sconvolti è che si presenti come un bambino, che tra tutte le creature è la più debole. Chi mai avrebbe potuto pensarlo? Eppure il Natale è tutto qui: un Dio che si fa fragile bambino. "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia", dice l'angelo ai pastori (dal Vangelo della Messa della notte). Ed essi, non induguarono nelle loro preoccupazioni e neppure si misero a discutere quanto avevano ascoltato. Accolsero l'annuncio dell'angelo e subito si dissero l'un l'altro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" (dal Vangelo della Messa dell'aurora). Quei pastori, persone tra le più disprezzate di quel tempo, sono i primi ad accorrere attorno a quel Bambino. Essi, in certo modo, anticipano un detto caro a Gesù: "i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi". In quel piccolo gruppo di pastori che circondano Gesù potremmo vedere la prima immagine della Chiesa. Gli ultimi fanno parte della prima famiglia che Gesù raduna. Essi, assieme a Maria e a Giuseppe, stanno con gli occhi fissi sul piccolo Gesù. E chiedono anche a noi di unirsi al loro pellegrinaggio per stringerci tutti attorno a quel Bambino. Chissà! Forse l'accorrere numeroso alla "Messa di mezzanotte" mostra il desiderio di tanti (un desiderio magari piccolo e forse un po' nascosto) di stare accanto a quel Bambino che nasce, di ritrovare in Lui un senso alla vita. Ogni chiesa, a Natale, diviene come una nuova Betlemme. E l'usanza di mettere il "Bambinello" davanti l'altare perché lo si veda, mostra visibilmente che il Natale è appunto un Bambino posto al centro. E' di qui che bisogna ripartire per incamminarci nel nuovo millennio. E' da quel Bambino che le comunità cristiane debbono trarre nuovo vigore per riprendere il cammino del nuovo secolo. Quel Bambino è come tutti i neonati: non sa parlare, anche se è la Parola fattasi carne, venuta per cambiare il cuore e la vita degli uomini. Forse si esprime solo con un pianto implorante: è per toccare il cuore di ognuno. Il Natale chiede ad ognuno di ascoltare il pianto di questo Bambino che implora aiuto e protezione.
Assieme a Lui lo chiedono i bambini della Betlemme di oggi e con essi i bambini poveri, sfruttati e violentati di ogni parte del mondo; lo chiedono gli anziani soli e abbandonati, anch'essi esclusi dalla vita. Non chiedono molto, implorano solo di far parte anch'essi della famiglia umana. E lo domandano anche i milioni di profughi e di stranieri lontani da casa come Maria e Giuseppe; lo chiedono quelli che hanno fame e sete di giustizia; lo invocano gli oppressi dalle violenze e dalle guerre; lo impetrano i disperati e gli angosciati del mondo. In loro nome, implorando e piangendo, il Bambino di Betlemme chiede a tutti un po' più d'amore. Sì, il Natale è una domanda di amore per i deboli, una domanda d'amore per il mondo intero. Vissuto così, il Natale è davvero "amico degli uomini". E con sant'Efrem possiamo cantare: "Il giorno della tua nascita, o Signore, è un tesoro destinato a soddisfare il debito comune", il debito dell'amore.