Omelia (08-12-2011)
don Alberto Brignoli
Santi e immacolati nell'Amore

Quando il Beato Pio IX, l'8 dicembre 1854 (era un venerdì) proclamava il Dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, non stava facendo nulla di così straordinario o avulso dalla mentalità dei cristiani come si potrebbe pensare, dal momento che già da secoli (come lui stesso ricorda nel documento ufficiale di proclamazione, la bolla Ineffabilis Deus) la famiglia dei credenti in Cristo lo viveva come una verità di fede, celebrandolo pure già nella Liturgia. La festa dell'Immacolata, infatti, si celebrava a Roma già nel XV secolo, e nei primi anni del ‘700 Clemente XI la estende alla Chiesa Universale. La sua popolarità, poi, ricevette un ulteriore impulso quattro anni dopo la definizione del dogma, con le apparizioni di Maria che si presenta come l'Immacolata Concezione ad una ragazzina in un piccolo paesino dei Pirenei chiamato Lourdes, divenuto poi uno dei maggiori centri della devozione mariana a livello mondiale.
Questo ragionamento iniziale mi è utile ad attuare una corretta comprensione del concetto di "dogma", di verità di fede, che spesso vediamo solo come una "imposizione" gerarchica da parte dell'autorità somma della Chiesa, che i fedeli sono tenuti a rispettare e a proclamare, pena la non piena comunione con essa. In realtà, anche se c'è effettivamente una presa di posizione autorevole da parte del Papa, la definizione di un dogma di fede non è l'imposizione di una verità ai fedeli; anzi, con un'espressione forte ma efficace potremmo dire che si tratta esattamente del contrario, ossia che è la fede vissuta per secoli dalla tradizione che si "impone" e che "impone" alla Chiesa di essere proclamata ufficialmente e proposta alla venerazione e alla devozione universale. Insomma, possiamo dire che da sempre la Chiesa crede all'Immacolata Concezione di Maria, così come alla sua Assunzione in Cielo anima e corpo, nonostante i rispettivi dogmi siano stati proclamati solamente negli ultimi due secoli.
Nella motivazione che Pio IX diede a proposito del dogma dell'Immacolata Concezione, in più di un passaggio parla di "previsione": ossia, che Maria vive la sua totale estraneità al peccato, sin dalla sua nascita, anzi addirittura dal momento del suo concepimento, "in previsione" della sua maternità divina, ovvero "in previsione" di essere la Madre del Salvatore, la cui principale missione è quella di salvare l'uomo dal peccato. E Dio aveva previsto tutto questo sin dalle origini del mondo: aveva "previsto" la creazione dell'uomo, ne aveva "previsto" la sua naturale limitatezza, aveva "previsto" il suo peccato, aveva "previsto" la necessità di un Salvatore, e "in previsione" della nascita di lui aveva dall'eternità predestinato Maria ad essere preservata dalla macchia del peccato, sia da quello originale che da tutti quei peccati che puntualmente commettiamo nella nostra quotidianità.
Ora, uscendo dalla terminologia un po' vetusta che è anche frutto dell'impostazione teologica del XIX secolo, che cosa ci vuole insegnare la proclamazione di questo dogma?
Letto in maniera spicciola, ma anche molto riduttiva (anche a causa di una certa impostazione teologica), questo dogma può apparire come la proclamazione di una "necessaria predestinazione" di Maria alla totale assenza di peccato (di cui la verginità è il segno più alto ed evidente) perché potesse essere degna di essere la Madre del Figlio di Dio: di conseguenza, questo deve stimolare ogni credente a vivere una vita il più possibile esente dal peccato perché in Maria ci dà un'immagine di totale purezza. Quindi, ogni realtà umana che possa portare in sé i segni della fragilità e del peccato (in primis, la dimensione affettiva e sessuale), deve poter avere la sicura consolazione e la speranza di essere totalmente redenta da Colui che ci ha salvati dal peccato, e ha predestinato per questo sua Madre ad essere esente da colpa fin dal suo concepimento.
Nulla di anomalo, in tutto questo: ma certamente è tutto molto riduttivo. Anche perché poi tutto questo ha portato, lungo i venti secoli di cristianesimo ma soprattutto negli ultimi due, a vedere in tutte quelle che sono le relazioni umane (soprattutto in quella che è vissuta tra l'uomo e la donna) elementi innati di peccaminosità e d'immoralità, da combattere in ogni forma prima ancora di ricercarne invece la corretta assunzione e comprensione. E credo sia proprio quest'ultimo il senso profondo della proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria.
Maria, con la sua totale esenzione da una vita di peccato, ci sta a indicare non la potenziale pericolosità delle relazioni che viviamo con gli altri e con noi stessi, ma la loro profonda bontà, la loro ricchezza, la loro pienezza se vissute nell'ottica più profonda che il messaggio di Cristo ci ha insegnato: quello dell'amore e del rispetto reciproco.
Se le letture di oggi ci rimandano al peccato delle origini, non lo fanno per richiamarci con sterile nostalgia a qualcosa che "non c'è più" e che per cercare di ricuperare almeno parzialmente dobbiamo vivere in un'ottica di fuga dal peccato, soprattutto quello che riguarda la sfera affettiva o sessuale. Il rimando alle origini ci richiama invece alla sana originalità delle nostre relazioni: quella con Dio, quella tra di noi come uomini, quella tra uomo e donna, quella tra amici, quella tra colleghi e compagni di vita, quella tra persone che condividono gli stessi ideali e la stessa difficoltà dell'essere uomini nell'ottica della reciprocità e del rispetto. Cose che vengono minate alla base quando uno vuol sentirsi superiore all'altro, quando uno vuole poter fare a meno dell'altro, quando uno sente di potersi prendere gioco dell'altro. E queste cose avvengono indipendentemente dalla nostra irreprensibilità nei comportamenti morali e affettivi: sono qualcosa di molto più profondo.
In definitiva, una vita esente da peccato, una vita "immacolata", non può ridursi a una serie di comportamenti irreprensibili nelle relazioni affettive e sessuali. La morale cristiana non può essere banalizzata riducendola alla pura sfera affettiva, quasi a dire "a posto la morale con una vita casta, è a posto tutto". È qualcosa di più profondo, ovvero l'onesta e la rettitudine nelle nostre relazioni con Dio, con noi stessi e con gli altri: e la dimensione di vita "immacolata" di Maria sin dal suo concepimento ci riporta a un mondo delle origini dove Dio aveva creato tutto "facendo bene ogni cosa", facendoci capire (perché lei ne è il modello) che è ancora possibile essere veri cristiani amandoci come fratelli; non solo con comportamenti affettivamente irreprensibili, ma facendo in modo che tutti i nostri comportamenti (anche, ovviamente, quelli della sfera affettiva) siano sinceri e profondi perché ricreano relazioni basate sull'amore e sul rispetto reciproco.
Se Dio ha preparato a suo Figlio una degna dimora attraverso l'Immacolata Concezione della Madre, è perché Maria fosse per lui la dimora dell'amore e del bene in tutte le sue dimensioni, ma soprattutto in quella delle relazioni umane. È lì che Gesù Cristo mostra la sua forza salvifica: non principalmente castigando i nostri comportamenti moralmente ambigui, ma mostrandoci qual è il vero senso del nostro rapporto con Dio, ossia mostrandoci prima di tutto il volto di un Dio che è Padre e Madre al tempo stesso, che ci chiede sì di essere perfetti, ma ce lo chiede da Padre misericordioso, non da giudice severo; che ci chiede sì di essere moralmente irreprensibili, ma non solo attraverso comportamenti sessualmente o affettivamente corretti, ma facendo in modo che questi comportamenti corretti siano segno di qualcosa di più grande, ovvero dell'Amore di Dio che ama ogni uomo e ogni donna (e ci invita a fare altrettanto) per ciò che ogni uomo e ogni donna sono, al di là della loro estrazione sociale, della loro storia e anche delle loro miserie umane.
Noi pure quindi potremo essere "immacolati" (come Maria già lo è, sin dal suo concepimento) quando sapremo vivere non nella perfezione assoluta dei nostri comportamenti - quella sì è una prerogativa che lasciamo onestamente e ben volentieri alla Madre di Dio - ma quando sapremo guardarci negli occhi tra uomo e donna, tra amici, tra fratelli, senza più "provare vergogna per la nostra nudità" (come Adamo nell'Eden), e scoprendo nel volto dell'altro, magari tra i solchi delle sue rughe segnate dai limiti della natura umana, il volto di Dio.