Omelia (25-12-2011) |
padre Gian Franco Scarpitta |
I pastori, il Bambino e la Verità Quando l'angelo si rivolge ai pastori che montano di guardia alle loro greggi, annuncia loro una novità sorprendente che, raggiungendo proprio loro, da sempre reietti e abbandonati dalla società, trasformerà radicalmente la loro vita come una sorta di rinascita, perché hanno la certezza che nessuno li ha mai dimenticati o abbanondati a se stessi, ma che in realtà Qualcuno da sempre li predilige e li ama, anche al di sopra degli altri: "Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore."(Lc 2, 8). Essi non possono che gioire al suono di quelle parole, perché si rendono conto che il Promesso dai profeti, l'Atteso dalle genti e il Signore universale della storia si mantiene ben lungi dal visitare i palassi e le case lussuose dei raffinati benpensanti o non si reca presso i dotti sapienti di raffinata fattezza intellettuale, ma raggiunge proprio loro, in una notte come tante, mentre vegliano sul bestiame, seza pretendere da parte loro accorgimenti previ e preparativi di grosso impegno. Il Re della gloria, Signore e Creatiore dell'Universo, viene a trovarr proprio questi rozzi e semplici uomini facendosi loro pari e anzi mostrando prerogative di illetteratezza e di abbassamento ancora più deprezzabili della loro. Ama prediligere proprio i pastori e gli allevatori agli imperatori, gli umili e i reietti, gli abbandonati e gli sfiduciati, molto più degli altolocati dotti benpensanti. Sempre l'angelo spiega loro che una siffatta novità esaltante viene accompagnata da un "segno": "Troverete un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia". Come spiega Ratzinger in un suo commento, in realtà di "segno" non si tratta, perché non occorrono prove, dimostrazioni o significazioni tangibili di quanto si afferma: basta la sola umiltà del Dio Bambino costretto a sfidare il freddo e le ostilità di quell'alloggio di fortuna che è la grotta, e per ciò stesso il suo asservimento alle prevaricazioni degli uomini. Nel Bambino Dio viene a convivere con l'uomo divenendo egli stesso uomo fra gli uomini, sottomesso alle limitatezze dello spazio e del tempo, succube delle restrizioni e delle frustrazioni a cui sovente ci costringe la società in un sistema ingiusto, ingrato e discriminatorio. Come aveva predetto Michea, Betlemme non è la più piccola borgata di Giuda, sebbene sia famosa per non essere in grado di apportare un solo contributo vantaggiso per il paese: da quelal che tutti considerano una cittadina insignificante e dimenticata dalla geografia, nasce nella carne il Verbo Incarnato per la salvezza del mondo. . Il Dio avulso e qualitativamente Differente si è reso Vicino e Identico, abbandonando le sue prerogative di grandezza perché noi fossimo elevati mentre lui veniva smentito. Nell'episodio lucano dei pastori, riscontriamo come anche per noi è esaltante la Verità che si fa apportatrice di gioia e che rende ragione della nostra speranza, quella stessa Verità che gli uomini cercano per ogni dove e che non di rado ci illudiamo di incontrare nell'idolatria e nel culto delle mode e dei costumi, come pure nelle sofisticazioni dell'ingegno; eppure essa ci si porge gratuitamente davanti senza bisogno che la cerchiamo, appunto in un evento unico e sorprendente come l'indifeso Bambino di Betlemme. Dio ha voluto sperimentare la vita umana perché noi sperimentassimo la vita divina; ha voluto essere povero e inerte nella culla perché dalla sua povertà potessimo trarre ricchezza; e ha voluto nascere Bambino perché anche noi, sebbene adulti nel giudicare, fossimo fanciulli quanto a malizia, generosità e semplicità di vita (1 Cor 14, 20). Se egli non avesse sperimentato l'infanzia e si fosse incarnato da uomo adulto, non sarebbe stato differente dalle varie proposte di incarnazione della mitologia che propongono la nascita improvvisa di eroi annche dalle pietre (Mitra) e soprattutto non avrebbe condiviso in pienezza la condizione dell'uomo, perché avrebbe trascurato quella che è la tappa più delicata della vita umana, cioè l'infanzia e avrebbe omesso di sottoporsi alle problematiche e alle difficoltà di quella età successiva così densa di problemi e succube di sensibilità e ansie che è l'adolescienza. Dio nel Fanciullo ha invece spogliato se stesso e nella mangiatoia fredda e ostile, proprio per condividere con l'uomo tutte le aspettative della vita, anche quelle più disfficili e delicate come l'infanzia povera e reietta e i la vera potenza di Dio si è manifestata nella più impensabile delle debolezze umane. In questo Mistero ineffabile nel quale restiamo sorpresi dal Figlio di Dio che incarnandosi diventa Figlio dell'Uomo concepiamo la grandezza che ci si offre sotto forma di piccolezza: non occorre che l'uomo cerchi Dio attraverso procedimenti contorti o espedienti di raffinata sottigliezza intellettuale o scientifica; non è necessario che l'uomo imponga a se stesso abnormi atti di eroismo o di rinuncia per elevarsi alla sfera del divino e neppure che egli procacci a propria consolazione idoli o illusioni propagandate ai fini di costruire da se stesso una divinità a sua misura o che costruisca il proprio credo su artificiosi artefatti che illudono di verità in realtà fittizie e passeggere. E' infatti lo stesso Dio che spontaneamente viene a cercare l'uomo, atteggiandosi come se Egli avesse un grosso debito da estinguere nei suoi confronti; come se ci dovesse delle scuse o se noi vantassimo dei diritti nei suoi confronti. Dio si umilia, soglia se stesso, si priva delle proprie sicurezze sottomettendosi vessazioni del nostro tempo come se fosse obbligato a privarsi di ogni cosa per il nostro vantaggio, e proprio questo costituisce la rivelabilità del Vero: quello che noi cerchiamo per ogni dove ci viene donato senza nostro merito. Eppure dovrebbe avvenire l'esatto contrario: saremmo noi a doverci spogliare di ogni cosa per rendere a Dio quello che abbiamo ottenuto e che non abbiamo mai meritato. Dovremmo noi estinguere quel debito colossale che grava sulle nostre spalle anche a nostra disfatta, che è il peccato. Tutto questo non può che suscitare la nostra gioia e la nostra meraviglia, considerando come nel Bambino di Betlemme risieda l'appagamento di ogni nostro desiderio e il raggiungimento di qualsiasi obiettivo che ci siamo prefissati: collocato al termine del rinnovamento interiore che ha riguardato il tempo di Avvento, sempre in forza di questo Bambino umile, dimesso e indifeso nel quale Dio condivide tutto con noi, rappresenta il raggiungimento delle mete prefissate, il conseguimento degli obiettivi agognati, la trasformazione in certezza delle nostre attese e delle varie aspirazioni. Meditando davanti ai nostri presepi la scena della grotta con il decoroso addobbo dei pastori e dei Magi e tutt'intorno il paesaggio pittoresco che tratteggia la quotidianità del popolo semplice e dimesso, interpretiamo che il Natale non può essere che un motivo di gioia e che le lacrime e la tristezza non possono che essere banditi per lasciare il dovuto spazio alla letizia e al sorriso. Comprendiamo che almeno in questi tempi dovremmo gettare nel dimenticatoio eventuale astio, rancore, incomprensioni e attriti vicendevoli per recuperare in noi stessi la contentezza interiore e la serenità necessaria a che qualsiasi Festa possa concepirsi come tale. Questo è il giorno in cui l'umanità viene assunta dalla divinità e quello che è astratto diventa concretezza storica. E' il giorno della gioia che si protrae per tutta la nostra esistenza e che contrassegna e distingue la nostra vita. BUON NATALE A TUTTI NELL'AMORE DEL SIGNORE. |