Omelia (01-01-2012)
don Alberto Brignoli
Pace e giustizia: cose da giovani!

Da diversi decenni, oramai, il nuovo anno si apre all'insegna della preghiera e della riflessione sul tema della pace. E da altrettanto tempo, questo tema viene affrontato nel tradizionale Messaggio che il Papa rivolge alla Chiesa Universale in forma strettamente connessa al tema della giustizia, al punto che si può veramente parlare con tranquillità di Giornata di Preghiera per la Pace e la Giustizia nel mondo.
È superfluo rammentare l'assenza di una pace duratura sul nostro pianeta: le guerre in atto, forse più civili che militari, sono ancora molte, e l'immediatezza dei mezzi di comunicazione ce le pone davanti agli occhi come pane quotidiano in tempo reale e nella loro cruda realtà, purtroppo spesso senza adeguati filtri di pudore e di buon senso. Cosa, questa, che se da un lato risponde al criterio di dovere di cronaca, dall'altro di certo non contribuisce alla creazione di una cultura e di una mentalità pacifista delle quali del resto tutti avremmo un po' bisogno. Ed è abbastanza assodato, oramai, che non si può pensare alla pace solo come ad un'assenza di conflitti, anche se questo già rappresenterebbe una grande conquista: non si può parlare di pace là dove non si pensi innanzitutto alla creazione di un contesto di giustizia sociale. Alla base di ogni conflitto, infatti, anche laddove sia facilmente identificabile la parte del torto o della ragione, dell'oppressore o dell'oppresso, troviamo una o più situazioni di ingiustizia, di disuguaglianza, di scarsa fratellanza e di assenza totale di dialogo su temi fondamentali quali il diritto alla terra, alla casa, al lavoro, all'educazione, alla salute. Troppo spesso i conflitti nascono perché c'è chi possiede tutto e c'è chi non ha nulla: e finché chi ha tutto ritiene che il suo benessere coincida con una situazione di pace, avremo per contro sempre un esercito di gente che non ha nulla e che giustamente reclama il proprio accesso almeno alle elementari condizioni di vita dignitosa.
Ma nel messaggio che Benedetto XVI ha promulgato per la Giornata di quest'anno possiamo scorgere in maniera palese un elemento di novità già a partire dal titolo: Educare i giovani alla giustizia e alla pace.
Credo sia la prima volta in cui un Papa diriga e dedichi il Messaggio dell'1 Gennaio al mondo giovanile. Ed è interessante pure che lo formuli in chiave educativa, sia perché ci fa comprendere come la pace e la giustizia rappresentino un compito fondamentale della società, al punto da diventarne un elemento pedagogico; sai perché si colloca molto bene nel solco tracciato dai Vescovi Italiani che hanno deciso di dedicare gli orientamenti pastorali per il decennio in corso esattamente al tema dell'educazione alla "vita buona" insegnata nel Vangelo.
Al di là del contesto e della giusta collocazione del Messaggio, la ricchezza del testo proposto da Benedetto XVI si evince già dall'inizio del messaggio. Il Papa inizia (e non potrebbe essere altrimenti, credo) dalla lettura della particolare situazione di crisi finanziaria, sociale ed economica nella quale il pianeta si trova immerso. "Sembra quasi che una coltre di oscurità - cito testualmente - sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno". Tuttavia, Benedetto XVI cerca subito di innestare una marcia "controcorrente", ovvero la marcia della "speranza". In una situazione come l'attuale abbiamo bisogno di buone dosi di entusiasmo: e chi maggiormente può aiutare il mondo a guardare al futuro con speranza sono coloro a cui il futuro è inevitabilmente affidato, ossia le giovani generazioni. Certo, vedendo la realtà giovanile che ci circonda, in ogni città e ad ogni latitudine, verrebbe da dire che grandi elementi di speranza non ce ne sono: ma invece di additare i giovani esclusivamente come cattivi, senza valori e incapaci di pensare a ideali alti, è giunto il momento di costruire per loro e intorno a loro un ambiente che li stimoli a prendere in mano seriamente il loro presente perché possano assicurare al nostro pianeta un futuro che, nella situazione attuale, ci pare molto incerto. Come fare?
Il Papa vede in un'instancabile azione educativa l'elemento chiave. Parlando di educazione, non si rivolge solo alle classiche istituzioni educative (famiglia e scuola), che rimangono comunque le istanze principali. Si rivolge anche ai responsabili politici e al mondo dei "media" perché facciano degli sforzi significativi che vadano in questa direzione. L'istituzione famiglia nel senso classico del termine è fortemente in crisi; la scuola lo è ancora di più. Se quindi i responsabili dei governi - continua il Papa - si danno da fare per attuare delle strategie politiche di supporto alla maternità e alla paternità, di accesso all'istruzione gratuita per tutti, di ricongiungimento delle famiglie separate a causa della necessità di trovare mezzi di sussistenza, e per avviare meccanismi di purificazione della politica da un'immagine di corruzione e di immondezza, certamente le giovani generazioni si sentirebbero maggiormente stimolate a guardare alla famiglia e alla società civile come a un punto di riferimento importante dal punto di vista valoriale.
E poi, cita la funzione fondamentale dei mezzi di comunicazione, che messi a servizio dell'istituzione educativa scolastica possono veramente aiutare in tempi brevissimi ed in maniera efficacissima a creare cultura e valori, invece di diventare un elemento di confusione e di diversione sociale che spesso sfocia anche in atti di incontrollabile violenza. La ricchezza dell'anelito alla libertà, ma anche l'escalation di violenza ad esso connessa che hanno contraddistinto, ad esempio, la cosiddetta "primavera araba" sono il risultato di un movimento creato in gran parte dai nuovi mezzi di comunicazione sociale, che attraverso la rete dei social - network hanno portato alla diffusione delle idee ad essa sottostanti: questa è la dimostrazione palese delle potenzialità che questi mezzi hanno su intere masse di giovani, e non ne vanno viste solamente le potenzialità negative. È proprio alle potenzialità positive delle giovani generazioni che Benedetto XVI affida la concreta possibilità della costruzione di un futuro basato sulla giustizia e sulla pace: ma a condizione che ognuno di noi faccia la propria parte per educare i giovani alla giustizia e alla pace.
Un percorso educativo deve passare attraverso l'educazione a due valori fondamentali: quello della verità e quello della libertà. L'anelito alla verità che è insito nel cuore di ogni uomo ci permette di incamminarci verso di essa nella misura in cui rinunciamo alle nostre posizioni individualistiche, sulle quali spesso ci arrocchiamo difendendo la nostra identità e rifiutando ogni forma di dialogo e di condivisione con l'altro (e i crescenti episodi di intolleranza che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente rappresentano un pericoloso campanello d'allarme che dobbiamo cercare di zittire con ogni mezzo). La libertà intesa come relativismo assoluto che mi permette di fare "quello che voglio perché sono io padrone del mio mondo" non aiuta certo un giovane a costruire una società basata sulla pacifica convivenza.
È necessario quindi che tutti facciamo lo sforzo di essere per i giovani degli autentici testimoni (è di questo che essi hanno bisogno più che di sterili discorsi pseudo educativi): testimoni che con loro vita dimostrino la voglia di andare alla ricerca profonda di quei valori che la legge morale scritta nel cuore degli uomini e troppo spesso assopita dalla ricerca del successo facile, dei soldi e del mito dell'eterna giovinezza esteriore è ancora capace di annunciare.
Per il cristiano, questo si specifica nella condivisione del dono più grande regalo fatto da Dio agli uomini: la carità concreta, spiccia, senza fronzoli e senza distinzioni. "Alzare gli occhi verso Dio", come chiede il Papa al termine del suo messaggio, permette non solo di non affogare nei problemi della nostra quotidianità, ma "di incontrare Gesù Cristo", fondamento della vera giustizia e della vera pace.