Omelia (06-01-2012) |
don Alberto Brignoli |
Dio c'è, nel buio e nel silenzio Grazie a Dio, tra le molte cose che ci vengono sottratte nella vita di ogni giorno, non ci è ancora stata tolta la capacità di alzare il nostro sguardo verso l'alto e di vedere il cielo stellato e, quand'essa risplende, anche la luna. Tra l'altro, e curiosamente, questo avviene principalmente fuori dalle città, fuori dai grandi centri urbani, dove il cielo è offuscato dallo smog, dai fumi del traffico e dal cosiddetto "inquinamento luminoso". Curiosamente, dicevo, perché nei luoghi in cui, come la città, le luci e le vetrine dei negozi, le persone e le loro attività in continuo movimento, i molti mezzi che circolano lungo la strada ci danno l'impressione (e pure l'illusione) che ci sia vitalità e quindi splendore, in realtà non si riesce, pur alzando lo sguardo verso l'alto, a vedere il cielo stellato e la luna splendente. Per rivedere le stelle dobbiamo uscire dalla città, andare in luoghi isolati, in montagna, in aperta campagna, in riva al mare, dove più intensi sono il buio e il silenzio e dove di certo non abbiamo sensazioni di vitalità, ma piuttosto di staticità e a volte anche di nullità. "Come fai a vivere in paese, così isolato dalla città? Non c'è niente!": sono frasi che fanno parte ancora del nostro lessico quotidiano, anche se un po' meno rispetto al passato. Perché la città, con le sue luci sfavillanti e la sua frenesia, ci dà l'illusione di offrirci tante opportunità: lavoro, soldi, svago, moda, possibilità, incontri, anche un po' di potere in più rispetto ai piccoli centri di periferia, di campagna o di montagna. Chi lascia il proprio paese per andare in cerca di un'opportunità, seguendo la buona stella del proprio istinto e delle proprie aspirazioni, subito va in un grande centro urbano, e si informa su quali siano le possibilità di successo in quel nuovo contesto. Ed è così che "alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme" ed entrarono in città, convinti di incontrare lo scopo della loro lunga ricerca, fatta scrutando gli astri, laddove era ancora possibile osservarli guardando il cielo. Ma entrati in città, non vedono più la stella, la buona stella del loro istinto e dei loro sogni. Vedono solo il palazzo del potere, e vi entrano, convinti che lì la loro stella potesse risplendere; ma invano. Non ottengono nulla, se non di turbare il re e tutta Gerusalemme. Viene fatto loro comprendere che è meglio che se ne vadano da lì, che cerchino altrove la loro buona stella: del resto - l'abbiamo detto - la città ti dà l'illusione di vedere molte luci brillare, ma non ti permette di vedere le stelle. Forse è proprio il caso di uscire dal palazzo del potere: lì dentro, nessuno è interessato ad una stella che risplende, ma solo a conservare gelosamente il dominio, cosa che ci si procura di fare chiedendo ai Magi di "informarsi accuratamente sul bambino", sul re dei Giudei che è nato, "per venire ad adorarlo". Ma chi ha nel cuore un desiderio, come dice la parola stessa, "dal cielo" cerca la propria ispirazione. E la cerca là dove il cielo è ancora stellato, e dove una morale parla ancora al cuore dell'uomo. E allora esce dalla città, dal palazzo del potere, e torna ad alzare lo sguardo verso il cielo. Questo sguardo elevato verso il cielo provoca nei Magi "una gioia grandissima", perché il buio e il silenzio permette loro di tornare a vedere la stella, che li precede e li conduce fuori, lontano dalla città, nelle campagne, tra i greggi e in mezzo ai pascoli, fino al luogo dove incontrano lo scopo della loro ricerca. E davanti all'Astro che ha motivato lunghi anni della loro vita, essi esprimono e tirano fuori tutto il meglio di sé, la loro grande ricchezza: non solo l'oro dei beni materiali accumulati in tanti anni di lavoro, ma anche l'incenso dei beni spirituali che la luce della stella ha acceso e mantenuto vivo in loro, e pure la mirra dell'umile natura umana, destinata alla morte come ogni cosa creata. Potrebbe terminare tutto lì, una volta ottenuto lo scopo della loro ricerca: eppure la vita continua, e "per un'altra strada fecero ritorno al loro paese". "Per un'altra strada", sì: perché - uscendo dalla metafora dell'Epifania - l'incontro con Dio ti cambia la vita, e non puoi più tornare sui tuoi passi. Ti apre a un mondo nuovo, ti apre a qualcosa che Lui ha voluto e sognato per te, ti apre alla missione. E tutto questo se accetti di cercare Dio laddove il cielo sa ancora far risplendere la luce vera: non nell'illusione dei luoghi di potere, dove le luci sfavillanti del denaro, del successo, della moda, del piacere e del divertimento attraggono tutti per poi spegnersi e lasciare nel cuore dell'uomo un senso di noia e di nausea tipico della sazietà, ma nel silenzio, nel nascondimento e nel buio dei luoghi isolati, laddove nessuno vuole andare, laddove spesso vive un'umanità che nessuno vuole incontrare, laddove non esiste gente che fa teorie e studi sul luogo della nascita del Messia, ma solo si preoccupa di ascoltare le voci degli angeli che annunciano la salvezza, e corrono ad incontrarla. Oggi, Dio lo trovi e ti apre la sua porta non dove si legifera e si vocifera sull'accoglienza da dare a chi viene da lontano e poi non si fa nulla, ma dove la carità concreta della gente semplice ed umile, che agisce in nome di Dio anche senza saperlo, apre la porta del proprio cuore per dare da mangiare, da bere, da vestire e da scaldarsi a chi non ne ha. Dio - non ce lo dimentichiamo - non accetterà mai di abitare laddove c'è la luce del successo e del potere: sarebbe inutile, la sua luce non potrebbe risplendere, e non sarebbe vista e contemplata da nessuno. La sua gloria, come ci ha detto Isaia, risplende dove "la tenebra ricopre la terra e nebbia fitta avvolge i popoli...Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore". |