Omelia (01-01-2012) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Luca 2,16-21 «(I pastori) andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo ». Maria è la madre di Dio, e tale è riconosciuta sia dai cattolici che dagli ortodossi, una definizione che ritroviamo nella preghiera mariana per eccellenza, l'"Ave, Maria" e che deriva dal greco Theotokós, letteralmente "colei che genera Dio", titolo che le fu confermato, dopo varie controversie teologiche, dal Concilio di Efeso del 431. L'evangelo di Luca che noi oggi proclamiamo, tuttavia, non fa cenno a questo impianto teologico, ma ci presenta un quadretto familiare che noi spesso, col nostro vizio di glossare anche l'evangelo, condiamo di retorica insulsa. Maria, suo marito Giuseppe e il loro figlio Gesù erano una famiglia, una famiglia povera che, come tante famiglie povere di ogni tempo, è stata costretta a prove indicibili perché le veniva negato un ricovero decoroso ... "non c'era posto per loro in albergo...". Neppure in una locanda di infimo ordine. Così, dice Luca, il bimbo "giaceva" (dormiva?..., strillava per il freddo e la fame...?) in una mangiatoia di uno di quei ricoveri per mandrie che ancora oggi si trovano nelle nostre montagne. Unici compagni di questa immane fatica dell'esistere i pastori, i paria del tempo, senza patria e senza chiesa, perché ripudiati dalle gerarchie religiose, "impuri" e "non frequentanti", i più poveri tra i poveri, uomini (e donne, è lecito pensare) in grado di declinare solo tre parole in un mondo vitale talmente ristretto capace di contenere solo queste: pecore, lavoro, fatica. Ma inaspettatamente - almeno per chi questo mondo non conosce e dunque nega - esso si allarga smisuratamente: a loro, per primi viene annunciata la nascita del Messia, e - questo è il punto - essi ci credono. In realtà solo i poveri, bisognosi di un riscatto, credono ad una liberazione. E il loro cuore si riempie di gioia. Il Dio con cui essi sono già in contatto, non nel chiuso di un tempio, ma negli spazi aperti di un universo in cui brilla la sua gloria, è loro vicino, sta con loro, li accetta e non li rifiuta. Li ama. Hanno capito, prima di ogni esplicita riflessione filosofica o teologica, che il problema non è credere o non credere in Dio, ma in quale Dio credere. E Maria conserva nel suo cuore tutte queste cose... Ed entra In questo mondo con Giuseppe e con il loro Gesù. Bella l'intuizione della Chiesa che dedica il primo giorno dell'anno a Maria. Confesso che le figure femminili dei vangeli mi hanno sempre affascinato, soprattutto per la formidabile carica d'amore che in esse s'avverte. Non penso sia casuale il fatto che proprio ad una donna, Maria di Magdala, stupenda figura di amica e di innamorata, il Cristo abbia per prima annunciato la sua risurrezione, come ci narra il capitolo 20 dell'evangelo di Giovanni. Mi affascina la figura di Maria. Purtroppo, lungo i secoli, la sua figura è stata via via caricata di varie simbolizzazioni, di connotazioni enfatiche ed idealizzanti. La sua verginità, ad esempio, è stata spesso considerata in modo riduttivo, inibitorio, presa a pretesto per coprire la tradizionale paura di molti "credenti" nei confronti della sessualità. Anche l'esperienza della vita di coppia di Maria e di Giuseppe è stata talvolta sottaciuta, sottovalutata. Eppure doveva essere stata una splendida coppia quella in cui l'uomo, Giuseppe, accetta di prendere "con sé" e non "per sé" una donna, e la donna, Maria, accetta la funzione di mediatrice tra la linea dell'essere e quella del fare. Ma per cogliere questa sensibilità occorre liberare Maria (ma anche Giuseppe) dagli ori e dagli orpelli. Chi ha viaggiato e lavorato in Medio Oriente, soprattutto in luoghi che in genere non vengono mostrati ai turisti, sa che in quei paesi la donna conta meno di un cammello o di un dromedario, la sudditanza all'uomo è pressoché totale e la paura della contaminazione così accentuata da esigere anche cabine telefoniche separate. Qui, in questi paesi, viene facile immaginare la condizione di una ragazza-madre, in una società che, ancora oggi, ha conservato la barbara abitudine di liquidare sbrigativamente le donne che contravvengono a leggi fatte da uomini. E in Palestina, al tempo di Maria, le cose non dovevano andare certo in modo molto diverso. Di qui a fraintendere il suo "eccomi" ("ecco-me") il passo è breve. Spesso, anche tra i credenti, abituati a coniugare al maschile le stesse caratteristiche di Dio, questa stupenda espressione viene spesso considerata come un'adesione timida, fatalistica, passivamente femminile e teologicamente necessaria a tutto l'impianto dell'economia della salvezza, dunque in fondo senza un grande merito, perché tutto era già scritto, a una parola che non ammette replica: una scelta già fatta. Ma in realtà a me pare che non sia stato così. Si è trattato, ed è bellissimo tutto questo per una ragazza molto giovane, di una presa di coscienza che i poveri hanno nella storia, la presa di coscienza di una donna - in quanto donna ed in quanto povera - che gli oppressi sono i soggetti attivi della loro liberazione, per dono di Dio. E dunque una donna povera, mite, sottomessa ma libera, genera un bimbo, Dio, ed attraverso questo Dio, a cui possono rivolgersi tutti, quelli che dicono uomo per dire Dio e quelli che dicono Dio per dire uomo, ha inizio un processo di liberazione. Che bello poter fare un tratto di strada con una donna capace di questo coraggio. Eppure lunghe devono essere state le notti di Maria, la madre dell'unico Dio che ci può salvare nelle nostre innumerevoli fragilità, prima di accettare il rischio eversivo di cantare che gli umiliati vengono esaltati, che per i poveri si schiude la via della liberazione, che il potere è annullato e trasformato in servizio, che i ricchi perderanno la falsa sicurezza del possedere, del vincere e dell'imporre la loro forza. Maria: la Madre di un Dio che ci ha promesso tutte queste cose e che anche noi, resi poveri come i pastori, corriamo ad adorare, non su questo o sull'altro monte, ma nel tempio che è nel nostro cuore e nel cuore, nella speranza e nel pianto di ogni persona. Allora, anche per noi, come per Maria, il Natale continua anche in questo primo giorno dell'anno. E anche per noi si avvererà, questa è la nostra speranza, quanto avvenne in Maria. Quando il coraggio trionfò sullo smarrimento... "le rozze chiacchiere dei pastori tacquero. / Essi furono poi fatti re dalla Storia. / Il vento, che era molto freddo, / divenne un canto d'angeli" (B. Brecht). Traccia per la revisione di vita 1) Che cos'è Maria per me: un'immagine da adorare o un modello al quale avvicinarsi con sensibilità? 2) Nel rapporto con gli altri, e soprattutto con il coniuge, attuo comportamenti di cattura o di accettazione della loro differenza e "alterità"? 3) La mia famiglia è capace di abbracciare e gestire le paure, le fragilità, le difficoltà di tutti i suoi componenti? 4) Vivo ed evangelizzo, come Maria, la speranza? Luigi Ghia Direttore della rivista "Famiglia Domani" |