Omelia (29-06-2003) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Matteo 16,13-19 La tredicesima domenica del tempo ordinario accoglie quest'anno la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo. Questa memoria, celebrata solenn emente nella Chiesa di Roma, è feconda per tutte le comunità cristiane. La tradizione vuole che Pietro e Paolo morirono martiri nello stesso giorno, il 29 giugno dell'anno 67 o 68, l'uno crocifisso sulla collina vaticana - forse nel luogo ove sorge oggi la chiesa di san Pietro in Montorio - e l'altro decapitato sulla Via Ostiense. Essi sono chiamati le colonne della Chiesa romana. Tertulliano li ricorda come coloro che donarono a Roma la loro dottrina assieme al loro sangue. Per questo, assieme alla Chiesa d'Oriente (che li festeggia subito dopo il Natale), possiamo cantare "sia lode a Pietro e a Paolo, queste due grandi luci della Chiesa, essi brillano nel firmamento della fede". Essi tornano oggi nelle nostre assemblee liturgiche domenicali e continuano a predicare assieme sia con le parole che ci hanno tramandato che con la loro testimonianza di vita. Tornano assieme, quasi ripetere quella missione antica: Gesù, ricorda Matteo chiamò i suoi discepoli e li mandò due a due. Pietro e Paolo, dalla lontana Palestina, sono stati mandati in Europa sino a Roma, per predicare il Vangelo. Erano molto diversi l'uno dall'altro: "umile pescatore di Galilea" il primo, "maestro e dottore" l'altro, come canta il prefazio della Santa Liturgia di questo giorno. Diversa fu anche la loro storia di credenti. Pietro fu chiamato da Gesù mentre riassettava le reti sulle rive del mare di Galilea: era un semplice pescatore che svolgeva onestamente il suo lavoro, talora molto pesante. Tuttavia, non era assente dal suo animo l'inquietudine per una vita scialba e con poco senso, e soprattutto sentiva forte il desiderio di un mondo nuovo ove fossero sconfitte l'indifferenza e I'inimicizia. E, non appena quel giovane Maestro di Nazareth lo chiamò ad una vita più larga e a pescare uomini e non pesci, Simone, "lasciate subito le reti, lo seguì". Lo troviamo poi tra i Dodici, con il tipico temperamento d'uomo focoso e sicuro; anche se bastò la voce di una serva per portarlo al tradimento. Il vero Pietro è quello debole che si lascia toccare dallo Spirito di Dio e, primo tra tutti, proclama: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", come riporta il Vangelo annunciato nella Santa Liturgia. E il Signore fece di questa debolezza la "pietra" che avrebbe dovuto confermare i fratelli. Su questa "pietra" avrebbe edificato la sua Chiesa. E lo vediamo, Pietro nel giorno di Pentecoste, uscire dal cenacolo e predicare con la forza dello Spirito il Vangelo della risurrezione. Pietro non aveva smesso la "calata" da galileo, che lo fece riconoscere nel cortile del Sommo Sacerdote, ma quel giorno di Pentecoste riuscì a farsi intendere da tutti i popoli nella loro propria lingua. Pietro si era finalmente lasciato condurre dallo Spirito. E, perché comunicasse il Vangelo fino a Roma per compiere il suo misterioso disegno, il Signore lo liberò strappandolo dalla mano di Erode. Anche Paolo ha avuto tante passioni, con odi feroci e risentimenti. Da giovane, lo troviamo accanto a coloro che stanno lapidando Stefano; faceva la guardia ai mantelli dei lapidatori. Era zelante nel combattere la giovane comunità cristiana. Si fece persino autorizzare a perseguitarla per sradicarla sul nascere. Ma sulla via di Damasco il Signore lo fece cadere dal cavallo delle sue sicurezze e del suo orgoglio, ben più forti e salde del cavallo su cui stava. Trovatosi a terra, nella polvere, alzò gli occhi al cielo e vide il Signore. Questa volta, come Pietro dopo il tradimento, anche Paolo si sentì toccare il cuore: non ebbe il dono delle lacrime, ma gli occhi rimasero chiusi e non vedeva più. Lui, abituato a guidare gli altri, dovette essere afferrato per mano e condotto a Damasco. E lì, con l'aiuto dei fratelli, ascoltò il Vangelo che gli aprì gli occhi e il cuore. E subito, come fece Pietro, iniziò a seguire il Maestro. L'incontro con la Parola di Gesù, in ogni momento della vita genera sempre un "subito", un distacco deciso con il proprio passato per divenire discepoli del Vangelo. E la storia di Pietro, è la storia di Paolo, ma anche la storia di chiunque vuole seguire Gesù. Non è possibile ascoltare con il cuore la sua parola e restare fermi al proprio posto, bloccati sulle proprie abitudini, sclerotizzati sulle proprie grettezze, saldi nel proprio orgoglio. Il Vangelo, se ascoltato, fa sempre cadere dal cavallo del proprio egocentrismo. Paolo, sedotto da Gesù, predicò prima agli ebrei e poi ai pagani, fondando molte comunità cristiane nell'Asia Minore. Chiamato in sogno dal Macedone, sbarcò in Europa per annunciarvi il Vangelo di Gesù. Voleva giungere sino in Spagna, ossia sino agli estremi confini della terra allora conosciuti. Per compiere questa sua missione non mancò di opporsi neppure a Pietro. "Il Signore mi è stato vicino - scrive a Timoteo - e mi ha dato forza, perché per mezzo mio si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno etemo". La Chiesa fin dall'inizio li ha voluti ricordare assieme, quasi a voler ricomporre in unità la loro testimonianza. Essi, con le loro diverse ricchezze, con il loro carisma, hanno fondato un'unica Chiesa. Le loro caratteristiche fanno in certo modo parte della fede e della vita della Chiesa e di ogni comunità cristiana. Si potrebbe affemmare che non si può essere cristiani in modo piattamente identico e avaramente uniforrne. La nostra fede deve respirare con lo spirito di questi due testimoni: con la fede umile e salda di Pietro e con il cuore ampio e universale di Paolo, e soprattutto con la disposizione a versare anche il sangue per il Vangelo. Ogni credente e ogni Chiesa deve vivere non per se stessa ma perché il Vangelo sia annunciato sino agli estremi confini della terra. Oggi, gli apostoli Pietro e Paolo tornano a sedersi in mezzo alle nostre assemblee eucaristiche, come fecero allora, ed esortano a non rinchiuderci, a non pensare unicamente ai nostri problemi particolari, a non bloccarci in quel ricorrente spirito autoreferenziale che avvelena lo spirito, ma a sentire l'urgenza di confermare la fede dei fratelli e di uscire ad annunciare il Vangelo a coloro che ancora non lo hanno accolto. Quella scena sulle rive del mare di Tiberiade e l'altra sulla via di Damasco, sono due modi diversi di mostrarsi della stessa chiamata. Ad ambedue fu detto: "Seguimi!". Ed essi seguirono. Sono venticinque anni che sulla cattedra di Pietro e di Paolo siede Giovanni Paolo II. Nel suo ministero pastorale manifesta a noi tutti la saldezza della fede di Pietro e l'universalità del messaggio di Paolo. Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, continua a far "brillare nel fimmamento della fede" la testimonianza preziosa dei due apostoli, colonne della Chiesa romana. |