Omelia (09-11-2003)
mons. Vincenzo Paglia
Commento Giovanni 4,19-24

Questa trentaduesima domenica del tempo ordinario accoglie la memoria della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, "mater omnium ecclesiarum", come canta la tradizione. Questa memoria, che ovviamente è celebrata particolarmente a Roma, è però preziosa per l'intera Chiesa di Cristo. Oggi, in certo modo, tutti ci rechiamo in spirituale pellegrinaggio nella cattedrale della Chiesa di Roma che appunto "presiede alla carità" e ci stringiamo attorno al Papa per essere da lui confermati nella comune fede nel Signore Gesù.
E come non dire anche a Giovanni Paolo II che ricorda i suoi venticinque anni di pontificato tutta la nostra obbedienza filiale e tutto il nostro affetto? Era il 9 novembre del 215 quando il papa san Zefirino entrava, accompagnato dal clero di Roma, nella Basilica Lateranense per consacrarla alla preghiera della comunità cristiana. Non era ancora possibile costruire chiese dentro le mura della città, e Costantino scelse un terreno di sua proprietà fuori le mura per edificare la Chiesa cattedrale di Roma. Il Papa, come prevedeva il rito liturgico, asperse le mura e le segnò con dodici croci per indicare le dodici porte della Gerusalemme del cielo. Quindi si recò all'altare, segno di Cristo, pietra angolare del nuovo tempio, e lo consacrò con l'olio santo e l'incenso. Fu un giorno di festa per tutta la Chiesa di Roma. E oggi lo è per l'intera Chiesa. Sì, tutte le Chiese, anche quelle che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, oggi, possono e debbono guardare questo luogo che sulla terra rappresenta la Gerusalemme del cielo.
Ma oggi non facciamo un semplice ricordo di un avvenimento passato; né rievochiamo il momento di apertura di un museo. Quel giorno fu un giorno santo per Roma; un giorno davvero senza tramonto. Qui, come in ogni cattedrale e in ogni chiesa del mondo, la misericordia e la presenza di Dio non sono mai tramontate. Si sono avvicendati i secoli, si sono susseguite le stagioni, si sono succedute le generazioni, mai però il Signore ha lasciato questa santa dimora. Questa Basilica è stata, di generazione in generazione, una fontana di misericordia, di perdono, di grazia, di sostegno. E' stata la fontana di grazia sempre viva per la comunità cristiana di Roma e per chiunque si è recato pellegrino al suo altare. Le parole che Salomone pronunciò nel giorno della dedicazione del tempio di Gerusalemme, e che riecheggiarono in quel lontano 9 novembre del 215, sono scolpite nel cuore e nella storia di questa dimora: "Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: lì sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Ascolta la supplica del tuo servo e di Israele tuo popolo, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali dal luogo della tua dimora, dal cielo; ascolta e perdona" (1 Re 8,30).
Un antico inno orientale per la dedicazione della Chiesa canta: "Questo luogo non è una semplice casa, è il cielo sulla terra, perché contiene il Signore. Se tu vuoi esaminare Dio freddamente, egli è infinitamente lontano; ma se tu lo vuoi cercare con il cuore, egli è interamente presente sulla terra. Se tu lo vuoi possedere, ti sfugge; ma se tu l'ami, è accanto a te. Se tu lo studi, egli sta nel cielo; ma se tu credi in lui, egli è in questo luogo. E perché egli resti con noi, uomini della terra, gli abbiamo costruito una casa, gli abbiamo preparato l'altare, la mensa ove la Chiesa si nutre con il pane della vita".
Parliamo della Basilica di San Giovanni, ma intendiamo riferirci a tutte le cattedrali sparse nel mondo. In esse noi, uomini e donne della terra, veniamo raccolti e trasformati sino a diventare cittadini del cielo, ossia il vero tempio di Dio, il luogo ove Egli ha posto la sua dimora. Nessuno è santo da se stesso; nessuna cosa è sacra di per sé. Un luogo diventa sacro quando Dio lo santifica, quando Dio vi abita. Paolo, rivolto ai cristiani di Corinto, diceva loro: "Fratelli, voi siete l'edificio di Dio"; e a chi aveva poca memoria aggiungeva con gravità: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi" (1 Cor 9,17). Noi siamo il tempio di Dio.
E possiamo così comprendere il senso delle parole che Gesù disse alla samaritana e che oggi sono state nuovamente proclamate: "E' giunto il momento ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre vuole tali adoratori"(Gv 4, 23). Adorare il Padre in spirito e verità vuol dire lasciarsi riempire il cuore dalla grazia del Signore, lasciarsi inondare dalla Sua Parola che ci edifica, appunto, come tempio spirituale. E' ben triste quel giorno in cui dimentichiamo che noi siamo il vero tempio di Dio! Abbiamo però una grazia. La grazia della Domenica nelle nostre cattedrali e nelle nostre chiese. In questi luoghi santi, di domenica in domenica, noi veniamo impiegati come pietre vive per edificare la Basilica vera, quella viva che resta per sempre, anche nel cielo. Sì! Vorrei dire che noi, ovunque siamo, ogni volta che ci raduniamo per la santa Liturgia, costruiamo la Basilica del cielo, la Chiesa, la comunità dei credenti.
Non possiamo essere pietre lontane le une dalle altre, abbandonate nella solitudine e al non senso, e neppure pietre sconnesse di una casa che non può quindi reggersi in piedi. Noi siamo pietre raccolte con amore dal Signore, smussate nelle spigolosità e unite le une alle altre, con ordine, dall'unico cemento che è l'amore del Signore. Oggi, festa della dedicazione della Basilica del Laterano, è in realtà la festa di tutte le cattedrali, di tutte le chiese, la festa di tutti coloro che nelle nostre chiese hanno pregato e continuano a pregare, perché nessuno sia più solo e abbandonato come pietra dispersa nel deserto o travolta dai fiumi in piena dell'egoismo. Siamo tutti pietre scelte, lavorate e impiegate per un edificio spirituale, vera fonte di vita per noi e per chiunque ci incontra.