Omelia (15-01-2012)
padre Gian Franco Scarpitta
Parola, ascolto, vita e vocazione

Samuele, Paolo, Pietro e Simone, ciascuno sotto modalità differenti, chi nell'esposizione di un concetto chi nella propria esperienza personale, ci ragguagliano su due concetti fondamentali correlati che ci riguardano tutti quanti: la Parola di Dio e la vocazione.
Ciascuno di questi personaggi viene infatti interpellato in primo luogo da Dio che gli si rivela parlando, e poiché nella Bibbia la parola è sempre associata all'azione e il termine stesso (parola, dabar) racchiude in se stesso un evento, viene investito dall'efficacia di questa Parola che realizza prontamente quanto sta annunciando.
Il caso di Samuele è abbastanza eloquente: il fanciullo dimora nel tempio del sacerdote Eli e nottetempo viene chiamato da una voce arcana che solo in un secondo momento viene riconosciuta come quella del Signore: una voce, anzi una Parola che richiede pronta attenzione e ascolto.
Gesù Cristo, che Giovanni proclama al suo passaggio come l'Agnello di Dio, destinato a versare il suo sangue per la nostra salvezza, è il Verbo Incarnato, cioè la Parola fatta uomo che ha apportato la novità del Regno. Una parola che è entrata nella storia e che si dispiega nella vita degli uomini apportando benefici di salvezza; essa attesta la presenza di Dio e la sua libera autocomunicazione nella nostra vita.
La Parola di Dio, come si diceva in se stessa è sempre frugifera e il suo apporto nella nostra vita è sempre immediato. A condizione tuttavia che essa trovi terreno fertile in noi, che siamo disposti ad accoglierla disinvoltamente e farla nostra senza opporvi resistenza, e che diventi per noi oggetto di accoglienza e di condivisione con gli altri. La Parola diventa infatti vita e la maniera più convincente perché la si possa testimoniare come Parola di Dio e non come espediente umano, è la carità: è la concretezza del bene che testimonia l'amore con cui Dio ha comunicato la sua Parola al mondo.
Ma occorre osservare innanzitutto che il primo atteggiamento necessario di fronte alla Parola deve essere l'ascolto: come avviene in Samuele, di fronte alla Parola di Dio ci si deve fermare e atteggiarci in discreto raccoglimento, quindi prestare attenzione.
Ascoltare e non opporre resistenza al Dio che ci parla è la condizione essenziale per cui è possibile scoprire il dialogo intimo e intenso con Colui che mostra interesse per la nostra vita e per realizzare la dinamica dell'interazione con chi a noi si rivela e si manifesta in assoluta gratuità. In poche parole, l'ascolto produce la familiarità con Dio, quella che tante volte si manca di raggiungere allorquando alla sua Parola si è refrattari e riluttanti, oppure quando di fronte ad essa ci si affretta nell'esercizio del mero esibizionismo dell'apostolato sterile che pretende di recare agli altri quanto noi stessi non abbiamo assimilato. E' fuori luogo e controproducente infatti lanciarsi immediatamente nell'annuncio missionario e catechetico quando si è solamente illusi di aver assimilato la Parola e non si è fatta l'esperienza previa dell'ascolto.
Prima ancora che oggetto di annuncio, la Parola deve diventare vita, cioè appartenere alla nostra dimensione personale, al nostro ambito quotidiano e al nostro vissuto. Non può non caratterizzare ciascuno di noi come facenti parte dello stesso Signore rivelato in Cristo e appartenenti a lui inopinatamente e senza condizioni: vivere della Parola è sinonimo di identificazione radicale con Cristo e di intensità della vita intima con lui.
E' questa la pedagogia vocazionale di Paolo (II Lettura) che individua nel cristiano il membro del corpo di Cristo anche nella profondità del suo corpo fisico: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito."
Come pure questa, fondamentalmente, è la formazione di Samuele in conseguenza dell'ascolto della Parola che lo ha interpellato, tutta incentrata sulla relazione intima con il Signore.: "Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole."
La risultante dell'ascolto è quindi l'appartenenza radicale a Dio in Cristo, che è il fondamento di ogni vocazione, come del resto si evince nella sequela pronta e disinvolta di Andrea e di Pietro, che entrano in piena comunione con il Signore tanto da avere soddisfatta la loro curiosità intorno alla sua dimora privata ("Signore, mostraci dove abiti... Venite e vedrete.") per sostare con lui in stretta confidenza ed amicizia. Nella sua insolita informazione cronometrica "erano le quattro del pomeriggio", Giovanni rafforza ulteriormente il concetto che la scelta di Cristo in conseguenza dell'amicizia data dalla sua Parola non può che essere certo, deciso e radicato, deve omettere ogni sorta di nostalgia e di tentennamento per deliberare volentieri e senza riserve. Le quattro del pomeriggio sono infatti l'ora in cui si riprendono le attività dopo la sosta del pranzo o dell'eventuale riposo, il tempo in cui cioè si riparte e ci si confronta con la realtà antistante e questo non senza determinazione e fondata motivazione previa.
Tale dimensione di vitale appartenenza al Signore costituisce già in se stessa la fondamentale vocazione dell'uomo, che non può prescindere da Dio e che a sua volta lo chiama costantemente alla comunione con sé. Soltanto in ragione di essa potranno validamente scaturire le specifiche vocazioni ad un particolare stato di vita del tutto speciale come il sacerdozio e la vita religiosa, e in ogni caso solamente in virtù di essa potrà aver luogo un'efficace chiamata missionaria ed evangelizzatrice. Se saremo sempre restii nel dare un'adesione alla primaria ed indispensabile vocazione all'incontro con Cristo, difficilmente avverrà che potremo rispondere ad ulteriori chiamate divine nella Chiesa e nella società, poiché mancheremo inesorabilmente dell'eroismo necessario per assumere particolari stati di vita o connotazioni del tutto straordinarie. Se non avremo assimilato la presenza di Cristo nella nostra vita e non avremo acquisito la certezza della sua presenza continua fra noi in tutto e per tutto non potremo mai comprendere lo specifico vocazionale che riguarderà il nostro avvenire o che interesserà anche il presente immediato quanto al reale posto da occuparsi nella Chiesa e nella società, e sarà inevitabile che le scelte saranno sempre erronee e confuse, non prive di errori e di smarrimenti.