Omelia (15-01-2012) |
Ileana Mortari - rito romano |
Maestro, dove abiti? Il brano giovanneo che la liturgia ci propone oggi viene comunemente indicato come "la chiamata dei primi discepoli" da parte di Gesù. E' un testo quanto mai sobrio, davvero essenziale, che non si attarda in discorsi e descrizioni, ma punta dritto a pochi, fondamentali elementi. Anzitutto compare Giovanni Battista, il "precursore", che "fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!"; questa espressione egli l'aveva già pronunciata il giorno prima, con l'aggiunta "ecco colui che toglie il peccato del mondo! " (v.29 b), vedendo Gesù avvicinarsi a lui per il battesimo. Si pensa che il Battista salutasse il Nazareno "come l'agnello dell'attesa apocalittica giudaica che doveva essere innalzato da Dio per distruggere il male nel mondo, un quadro non troppo distante da quello di Apocalisse 17,14: "l'Agnello vincerà i nemici" (così R.Brown) (1) In secondo luogo ecco due discepoli di Giovanni, che, non appena sentono la frase del Battista, seguono Gesù; questi si volge verso di loro e pronuncia le sue prime parole nel quarto vangelo; è una domanda "Che cercate?", che vuole far emergere la lunga e intensa attesa dei Giudei relativa al compimento dei tempi e all'arrivo del Messia. La risposta dei due è a sua volta una controdomanda; sottintendendo che è lui stesso, Gesù, che essi cercavano e che ora hanno trovato, si rivolgono a lui col titolo di Maestro e gli chiedono"dove abiti?" (v.38c), una richiesta che non mira solo ad una banale informazione, ma dice molto di più. Infatti il verbo greco usato è "menein", ripetuto altre due volte subito dopo ("videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui" - v.39), un termine caro all'evangelista Giovanni, che lo usa per esprimere i concetti di "rimanere", "dimorare", "sostare", "soffermarsi", ma soprattutto per designare la permanenza del rapporto tra il Figlio e il Padre e tra il Figlio e il credente. Qui in particolare esso indica una comunione di vita e una reciproca conoscenza, quella che si sarà realizzata tra i due discepoli e Gesù in quel memorabile pomeriggio. Nulla ci viene detto delle parole che furono scambiate, ma l'importanza straordinaria di quell'incontro si deduce dall'annotazione cronologica: "erano circa le quattro del pomeriggio", un momento indelebile nella vita dei due, che ha segnato la svolta fondamentale della loro esistenza. Lo si capisce anche dal terzo elemento del quadro: uno dei due, Andrea, incontra poco dopo suo fratello Simone e gli dice: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo e lo condusse da Gesù" (vv.41-42) Commenta S.Giovanni Crisostomo: "Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e, dall'altra, rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento. Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia". Abbiamo in questa concisa pagina la dinamica propria della vocazione cristiana, di ogni vocazione. Che cosa si intende per "vocazione"? In passato essa era identificata con la chiamata alla vita religiosa o al sacerdozio (il tale o la tal altra hanno avuto "la vocazione" - si diceva); ma da tempo è caduta questa identificazione e per "vocazione" si intende la chiamata ad uno "stato di vita" definitivo: il matrimonio, il sacerdozio, la vita religiosa, la consacrazione laicale. Qualcuno si potrebbe chiedere: ma allora chi non rientra in nessuno di questi "stati di vita", che vocazione ha? A che cosa è chiamato? Diciamo subito che, al di là delle condizioni ricordate, ogni uomo e ogni donna sono "chiamati" da Dio Padre, anzitutto alla fede, in secondo luogo alla sequela e alla comunione con il Figlio Gesù, e il quarto evangelista ci aiuta in modo mirabile a capire di che si tratta. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv.6,56) "Rimanete in me e io in voi....Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv. 15,4-5) "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv. 17,21) L'inabitazione divina è un'intima unione che non si identifica necessariamente in forme di misticismo; anzi Giovanni mostra chiaramente che il rimanere in Gesù, o nel Padre, è strettamente associato a una serie di comportamenti cui tutti sono chiamati: - l'osservanza dei comandamenti:"Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" (Gv. 15,10); e di questi il primo è quello della carità: "Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi"(1° Gv. 4,12) - la lotta contro il "mondo" (nell'accezione di "ciò che si oppone al piano di Dio") "quello che è nel mondo, la concupiscienza della carne e degli occhi, e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscienza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!" (1° Gv. 2,16-17) - il portar frutto: "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto"(Gv. 15,5) Quindi l'inabitazione non è l'esperienza esclusiva di anime elette, ma il principio costitutivo essenziale di ogni vita cristiana. Notiamo infine che, quando Andrea conduce il fratello Simone da Gesù, questi gli dice: "Ti chiamerai Cefa (Pietro)" (v.42), cioè gli affida una missione: essere il fondamento visibile della Chiesa. Analogamente, a ciascuna vocazione corrisponde un preciso mandato, un compito che il Signore ci affida e che non può essere svolto da nessun altro. Insieme con il "dimorare" in Cristo, individuare e assolvere questo incarico è, al di là di un particolare "stato di vita", la risposta di ciascuno alla sua "chiamata". |