Omelia (05-10-2003) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Marco 10,2-16 (forma breve: Marco 10,2-12) E' la realizzazione dell'unità della famiglia umana, quando tutti i popoli della terra si ritroveranno attorno all'unico Signore e Padre di tutti. Il Vangelo di questa ventisettesima domenica ci porta a riflettere sulla particolare e fondamentale forma di comunione che nasce dal matrimonio. L'evangelista Marco ci presenta Gesù mentre cammina per le vie della Giudea, circondato da una grande folla. In effetti, Gesù quando cammina non è mai indifferente alla vita degli uomini, ai loro bisogni, alle loro angosce, alle loro preoccupazioni alle loro speranze. Per questo le sue parole acquistano un rilievo del tutto particolare: non sono una esercitazione teorica o un dibattito formale. Alcuni farisei si avvicinano a Gesù per porgli il noto quesito sul divorzio. Chiedono a Gesù: "E' lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie?". Il giovane profeta di Nazareth non risponde direttamente e rimanda alla disposizione data da Mosé secondo cui si permetteva all'uomo di divorziare dalla moglie qualora "avesse trovato in lei qualcosa di vergognoso" (Dt 24,1). Su cosa fosse "vergognoso" si erano accese, nel corso dei decenni, non poche polemiche: c'era chi considerava vergognoso l'adulterio e chi invece riteneva riprovevole qualsiasi altra cosa che non facesse piacere al marito (nella scuola di Hillel bastava, ad esempio, che la donna avesse lasciato bruciare il cibo perché il marito potesse pretendere il libello di ripudio). Mosé, comunque, nel prescrivere che bisognava presentare un documento di divorzio da parte dell'uomo, voleva in qualche modo tutelare la donna; con tale documento infatti ella avrebbe potuto conservare il proprio onore ed anche la libertà di risposarsi. Gesù replica al quesito propostogli ponendosi su di un piano più alto. Inizia a rispondere richiamando le origini della creazione, ossia tornando alle radici stesse della vita dell'uomo e della donna. E ripropone esplicitamente la pagina del Libro della Genesi (1, 27 e 2, 24) da cui deduce che Dio ha legato alla creazione delle creature umane anche il comando, per i coniugi, di formare una unità indissolubile L'uomo e la donna lasciano le rispettive famiglie per appartenersi l'un l'altro in maniera inseparabile, "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia". Essi - dice Gesù - formano "una sola carne". L'accento, nel testo, cade sulle due parole "una sola" prima che sul termine "carne" (in ebraico il termine "carne" significa la persona nella sua totalità). Ancora una volta si sottolinea la vocazione dell'uomo e della donna alla comunione reciproca. Il grido di gioia di Adamo nel vedere Eva esprime questa vocazione all'amore; non certo al dominio dell'uomo sulla donna, o viceversa. L'uomo e la donna sono stati creati per amarsi. Questo annuncio sgorga dalla creazione stessa. Anche il matrimonio è iscritto in questo orizzonte. Ed è una manifestazione così alta di amore da venir presentato come immagine dello stesso amore di Dio con il suo popolo. Tale immagine, per essere considerata un ideale di vita cui ispirarsi, richiede senza dubbio una particolare grazia del Signore; di qui, si potrebbe dire, nasce il sacramento del matrimonio. "Stare insieme per la vita" è perciò un dovere alto da custodire e da coltivare. Ovviamente, come in ogni rapporto, non mancano le difficoltà e i problemi, ma la grazia del Signore viene in aiuto alla nostra debolezza. Tale legame per la vita l'indissolubilità dell'unione coniugale appare estraneo alla cultura e alla prassi dominante dei nostri giorni. Si preferisce e si pratica la ricerca del piacere immediato e a basso costo; l'affermazione del proprio benessere individuale e a qualsiasi prezzo è come una legge divenuta sempre più dominante. Ma tale consuetudine - ricorda Gesù - porta lontano dal disegno del Signore sulla vita degli uomini. La comunione è iscritta nelle ragioni profonde della storia umana. E la rottura del vincolo matrimoniale, come sempre accade quando l'amore viene ferito e indebolito, produce danni sui più deboli, sui più indifesi, sui bambini, sugli anziani, sui malati. Non si vogliono giudicare situazioni a volte estremamente complesse e sulle quali solo il Signore può dire parole di verità, come pure non si vogliono avallare fariseismi di facciata che lasciano in piedi situazioni assurde. Tuttavia, va certamente salvaguardata, e questa volta sì, costi quel che costi, la ricchezza di una decisione che lega per la vita e che fa di due persone "una sola carne". Nel matrimonio cristiano - va sottolineata con vigore la peculiarità del sacramento - si manifesta la mirabile unione tra Cristo e la Chiesa. E' da questo mistero che si deve partire per comprendere la ricchezza del matrimonio cristiano e la sua dimensione storica per i coniugi, per la loro famiglia e per l'intera comunità cristiana. Come la Chiesa è unita a Cristo sino a divenire con Lui "una sola carne" un solo corpo, così i coniugi cristiani debbono comprendere il mistero del loro matrimonio. La Chiesa, intesa come famiglia di Dio, diviene perciò l'immagine stessa della famiglia che nasce dal sacramento del matrimonio. La Chiesa è come una madre che genera, custodisce e accompagna le tante piccole "chiese domestiche" che via via si edificano. Alla Chiesa, alla comunità cristiana, spetta il dovere materno di sostenere con la preghiera e con i modi concreti che la sua compassione sa trovare, l'amore e la comprensione tra i suoi figli. E, se necessario, deve offrire un supplemento di amore per quei piccoli e quei deboli che maggiormente sono danneggiati dalla mancanza di amore e di affetto familiare. Nella Chiesa pertanto, più che altrove, debbono vedersi realizzate le parole della Genesi: "Non è bene che l'uomo sia solo!". Insomma, la Chiesa è la famiglia di tutti, è la casa della comunione ove nessuno è lasciato solo. |