Omelia (12-10-2003)
mons. Vincenzo Paglia
Commento Marco 10,17-30

Introduzione

Quest'uomo sembrava avere tutto. Egli era ricco e, in più, obbediva ai comandamenti divini. Si è rivolto a Gesù perché voleva anche la vita eterna, che desiderava fosse come una assicurazione a lunga scadenza, come quella che si ottiene da una grande ricchezza. Gesù aveva già annunciato che per salvare la propria vita bisognava essere disposti a perderla, cioè che per seguirlo occorreva rinnegare se stessi e portare la propria croce (Mc 8,34-35).

L'uomo era sincero e si guadagnò uno sguardo pieno d'amore da parte di Gesù: "Una sola cosa ti manca, decisiva per te. Rinuncia a possedere, investi nel tesoro del cielo, e il tuo cuore sarà libero e potrà seguirmi". Ma né lo sguardo né le parole di Gesù ebbero effetto. Quest'uomo, rattristato, certo, ha tuttavia preferito ritornare alla sicurezza che gli procurava la propria ricchezza. Non ha potuto o voluto capire che gli veniva offerto un bene incomparabilmente più prezioso e duraturo: l'amore di Cristo che comunica la pienezza di Dio (Ef 3,18-19). Paolo lo aveva capito bene quando scrisse: "Tutto ormai io reputo spazzatura, al fine di guadagnare Cristo... si tratta di conoscerlo e di provare la potenza della sua risurrezione..." (Fil 3,8-10).

Omelia

Il Vangelo della ventottesima domenica ci mostra Gesù che esce per riprendere il cammino verso Gerusalemme. L'uomo di cui parla il Vangelo di Marco "corre" verso Gesù. Ha fretta di incontrarlo. Cerca con urgenza una risposta per la propria vita. Ed in questo è davvero esemplare rispetto alla nostra pigrizia nel seguire il Signore. Marco fa capire che si tratta di un adulto (per Matteo è un giovane).
Comunque, ad ogni età si può correre verso il Signore. Quest'uomo, giunto davanti a Gesù, si getta ai suoi piedi e gli pone una di quelle domande che sono centrali nella vita di un uomo: "Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?".
Lo chiama "buono", non per adulazione, perché lo pensa davvero. Ma Gesù lo corregge subito: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo".
Per noi, così pronti ad avere un'alta considerazione di noi stessi, l'affermazione di Gesù è una lezione che non dovremmo mai dimenticare. Solo Dio è buono, nessun altro. Ovviamente, neppure noi. E riconoscerlo non è tanto un problema di umiltà, quanto di realismo.
Comprendere la propria debolezza e il proprio peccato (come ogni liturgia eucaristica ci esorta a fare con il canto iniziale del "Signore pietà") vuol dire muovere il primo passo di quella corsa che ci porta verso il Signore. Quell'uomo corre da Gesù e riceve la risposta sul senso della vita.
Si apre un dialogo. Gesù chiede a quell'uomo se conosce e se ha osservato i comandamenti, e la risposta è che li ha osservati sin dalla giovinezza. Mostra che è tutt'altro che un credente tiepido o poco praticante. Non so quanti di noi possono dare la stessa risposta alla domanda di Gesù. Ed è struggente la notazione che segue: "Gesù, guardandolo, lo amò".
Potessimo sentire rivolte anche a noi queste parole! Ma forse noi sentiamo meno ansia di salvezza di quanto la sentiva quell'uomo. Perciò dovette suscitare tanta ammirazione in Gesù. Dobbiamo, tuttavia, stare certi che queste parole evangeliche sono rivolte anche a noi: Gesù continua a guardarci e ad amarci davvero, anche se siamo meno osservanti di quell'uomo che gli è andato incontro di corsa.
Per questo anche oggi Gesù si rivolge a noi, e con la stessa intensità d'amore, dice ad ognuno: "Va', vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi, vieni e seguimi!". Non è una frase neutra. Del resto mai il Vangelo è neutro, chiede sempre un impegno, una decisione, una risposta. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato: "La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore".
O la si respinge e si resta come si è, oppure la si accoglie e si cambia vita. Il brano evangelico che ci viene annunciato in questa domenica è tra quelli che hanno maggiormente piegato la vita di coloro che lo hanno ascoltato.
Quando Antonio, giovane egiziano di buona famiglia, ascoltò queste parole, lasciò tutto, si ritirò nel deserto e divenne padre (abate) di molti monaci. Così pure Francesco d'Assisi le ascoltò e lasciò tutto. E divenne testimone del Vangelo, sino ad esserne segnato nel corpo con le stigmate. L'uomo ricco, al contrario, quando le udì abbassò il volto, divenne cupo e si allontanò da Gesù.
E si allontanò con la tristezza nel cuore.
Quell'uomo conservò le sue ricchezze, ma perse il sorriso e il senso vero della vita. Potremmo chiederci: ma l'invito di Gesù non è troppo severo? Non si tratta di una parola troppo esigente che, tra l'altro rischia di farlo rimanere solo? Gesù non potrebbe attutirlo almeno un poco? Non potrebbe renderlo meno esigente e un po' più accomodante? Le parole che Gesù aggiunge subito dopo il rifiuto del ricco non ammettono replica. "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" E conclude: "E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".
Sono parole che dovrebbero impensierirci, anzi spaventarci. Noi, infatti, figli di un mondo ricco, siamo tesi a soddisfare subito a qualunque costo e in qualsiasi modo, ogni desiderio e ogni velleità che ci passa per la mente.
Gesù non chiede di buttare a mare tutto quanto abbiamo: non è questo il senso della frase evangelica. La decisione che questa pagina evangelica vuole provocare in noi riguarda il primato da dare a Dio sopra ogni cosa. Gesù ci chiede di porre Dio al di sopra di tutto anche dei beni che abbiamo e di considerare i poveri come nostri fratelli verso i quali siamo debitori di amore e di aiuto. Essi hanno diritto al nostro amore e al nostro aiuto. Quel che chiede il Signore, a prima vista, ha i tratti di una rinuncia e in parte lo è, ma è soprattutto una grande sapienza di vita. Ovviamente si tratta non della sapienza del mondo che spinge a rinchiudersi in se stessi e nelle cose del mondo, ma della sapienza che viene dal cielo, di cui ascoltiamo dalle Sante Scritture: "La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento. L'amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana" (Sap 7, 8-10).
La risposta di Gesù alla richiesta che Pietro ha fatto a nome dei discepoli spiega concretamente le conseguenze di tale sapienza evangelica: chi abbandona tutto per seguire Gesù (ossia, chi pone Gesù al di sopra di ogni cosa) riceverà in questa vita il centuplo e, dopo la morte, la vita eterna. E' l'esatto contrario di quello che normalmente si pensa, ossia che la vita evangelica sia innanzitutto privazione. Così pensò anche l'uomo ricco. In verità, la scelta di seguire il Signore sopra ogni cosa è sommamente "conveniente", non solo per salvare la propria anima nel futuro, ma anche per gustare "cento volte" la vita su questa terra. Il brano tratto dal Libro della Sapienza conclude: "Insieme con essa (la sapienza che viene dal cielo) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile". Chi mette Dio al primo posto nella sua vita entra a far parte della Sua "famiglia" ove trova fratelli e sorelle da amare, padri e madri da venerare, case e campi ove lavorare. Trova l'amore.