Omelia (23-11-2003) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Giovanni 18,33-37 Con questa domenica si chiude l'anno liturgico. Tra sette giorni la Liturgia della Chiesa inviterà i credenti ad iniziare un nuovo tempo di preghiera e di memorie sante. Non si tratta semplicemente di un cielo temporale che si aggiunge ad altri calendari (scolastico, solare, giudiziario, amministrativo, e così via). Il tempo liturgico è altro da quello ordinario o da quelli stabiliti dagli uomini. E', infatti, un tempo nel quale non siamo noi, o le vicende di questo mondo, a decidere le scadenze e a segnare i ritmi e gli obiettivi, come sempre accade. Nel tempo liturgico siamo noi ad essere guidati: veniamo, infatti, come sottratti alla normalità delle nostre abitudini e delle nostre preoccupazioni per essere inseriti in un altro ritmo temporale: quello di Gesù. Sono le pagine del Vangelo a scandire il tempo dell'anno liturgico perché i credenti, strappati dal tempo dei propri affari, siano trasportati dentro la storia stessa di Gesù, divenendo così suoi contemporanei. Da Natale a Pasqua sino a Pentecoste siamo chiamati a stare accanto a Gesù che nasce, che cresce, che predica e che guarisce percorrendo le strade e le piazze della sua terra, che soffre e che muore sulla croce, che però risorge, che ascende al cielo e che manda lo Spirito santo sulla Chiesa inviandola sino agli estremi confini della terra. L'anno liturgico, insomma, è Cristo stesso ("annus est Christus", diceva l'antica saggezza cristiana) che ci viene donato. Quest'ultima domenica dell'anno liturgico fa celebrare ai credenti la festa di Gesù Cristo, Re dell'universo. E' la festa della Sua signoria sul mondo, sul creato, sugli uomini, sulla storia. E' una domenica che viene per così dire a coronare tutta la vicenda di Gesù e della stessa storia umana. E' la festa in cui contempliamo Cristo nella pienezza della sua signoria sul creato. Ma il paradosso di questa festa sta nel fatto che mentre vediamo Cristo, come Re dell'universo, il Vangelo ce lo presenta umiliato, ridicolizzato, sconfitto. Questo stridente contrasto porta a chiederci: ma che re è il nostro? Che regalità è la sua? E che regno è quello su cui governa? E lo scetticismo di Pilato di fronte all'affermazione di coloro che gielo avevano condotto perché lo condannasse. Infatti, chiede incuriosito: "Tu sei il re dei giudei?" L'aspetto arrendevole e modesto di Gesù, era ben lontano da quello di un sobillatore capace di mettersi alla testa di una banda armata. Eppure, Gesù non nega l'affermazione fatta da Pilato: "Tu lo dici, io sono re!" Ma, per chiarire il senso di questa affermazione, aggiunge immediatamente: "Il mio regno non è di questo mondo". E ne porta una prova lampante: "Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei". E' tutto vero, anche se viene da pensare che quei pochi amici che pure aveva, non solo non lo hanno difeso, al contrario lo hanno abbandonato dandosi alla fuga; solo uno ha tentato la difesa con un colpo di spada, ma si è attirato una dura reprimenda da parte di Gesù. Il Maestro, il pastore resta solo. Ma che re è? Certo, non lo è alla maniera di questo mondo. E lo dice con chiarezza: "Il mio regno non è di questo mondo". In quattro righe questa affermazione è ripetuta per ben due volte: "Il mio regno non è di quaggiù". La sua regalità non trae origine dal mondo, non poggia sul consenso della gente (fosse anche da un ampio consenso democratico) e non dipende dalle sue qualità; essa viene dall'alto, da Dio. I profeti avevano preannunciato l'avvento di questo nuovo re. La profezia di Daniele riportata nella prima lettura della Liturgia parla infatti di "uno, simile a figlio d'uomo" che appare sulle nubi del cielo e che riceve dal "vegliardo" il "potere, la gloria e il regno". E la visione continua con una scena grandiosa: "Tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto". La visione del profeta Daniele si consuma nella sua pienezza nel regno di cui parla Gesù, un regno che viene dal cielo e per questo eterno e indistruttibile. Ma non è lontano ed estraneo alla terra. Al contrario, pur non essendo del mondo il potere di Cristo si esercita nella terra e nella storia degli uomini. E Pilato a suo modo lo capisce, tanto che conclude: "Dunque, tu sei re?" E come dire che l'accusa rivolta a Gesù è giusta. Ed in effetti Gesù afferma che è venuto nel mondo proprio per "rendere testimonianza alla verità". E aggiunge: "Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce!". La verità di cui Gesù parla non sono principi logici astratti o idee belle da contemplare. La verità è una storia, ossia la storia dell'amore di Dio per gli uomini. Egli, come scrive Giovanni nel suo Vangelo: "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3, 16-17). Gesù è il volto concreto dell'amore di Dio, il volto concreto della Verità, il testimone dell'inimmaginabile "passione" di Dio per gli uomini. E' vera regalità quella di Gesù, anche se agli occhi del mondo è davvero strana. Egli regna dal pretorio, ma stando dalla parte dello sconfitto. Egli si erge a maestro autorevole, ma stando dalla parte degli imputati. Il suo potere è la forza dell'amore, è la forza della misericordia, della compassione e della mitezza. Così Egli governa i cuori degli uomini e la loro storia. L'amore appare debole agli occhi degli uomini, ma è forte agli occhi di Dio. E' una forza reale. Del resto Gesù lo ha detto fin dall'inizio della sua missione sul monte delle Beatitudini: "Beati i miti, perché erediteranno la terra" (Mt 5, 5). La terra non è dei violenti, ma dei miti, dei misericordiosi. La vera grandezza, la vera regalità, il vero potere, sta nel lasciarsi conquistare dalla "verità" di Dio, ossia dal suo sconfinato amore che giunge sino a dare la vita per gli uomini. Di questo amore ha bisogno il mondo. Perché l'amore sconfigge ogni male, compresa la morte. In questa domenica che chiude l'anno liturgico, la Chiesa ci fa vedere la conclusione della storia: Gesù trionfa sul male e instaura il regno dell'amore. Giovanni, come a descrivere la liturgia celeste di questa domenica, ci apre uno spiraglio sul cielo: "Ecco, viene sulle nubi del cielo e ognuno lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto". |