Omelia (22-01-2012) |
Ileana Mortari - rito romano |
Convertitevi e credete al vangelo Con la domenica odierna si riprende la lettura del vangelo di Marco, che ci accompagnerà per tutto l'anno liturgico B. Gesù, dopo aver ricevuto il Battesimo da Giovanni ed essere rimasto quaranta giorni nel deserto di Giuda, si reca in Galilea (cioè nella Palestina del nord) e inizia il suo ministero pubblico, predicando con queste parole: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo"(v.15). Val la pena esaminarle a una a una. "Il tempo è compiuto" - Di quale tempo e di che compimento si tratta? Il termine greco non è "krònos", più comune, ma "kairòs", che significa "il tempo giusto, il momento opportuno e prestabilito", che suppone un prima, fatto di attesa. Con il verbo "è compiuto" si vuol dire che questo periodo di preparazione è finito, e che quindi è iniziato un periodo nuovo, in cui la realtà attesa è ormai un fatto concreto alla portata di tutti. All'epoca era molto viva la corrente dell'apocalittica giudaica: si tratta di scritti, sia canonici che apocrifi (famoso tra questi ultimi il libro di Enoch) che trattavano della fine della storia. Nati in epoche di difficoltà e persecuzioni del popolo ebreo, essi esprimevano una grande speranza e fiducia nel Dio vivente, il quale concedeva agli autori dei testi apocalittici la rivelazione (infatti apocalisse= rivelazione) di cose fino allora nascoste e note solo a Lui. In sintesi tali testi prospettavano la fine di questo mondo, il giudizio universale nel "giorno di Jahvè" e l'avvento glorioso e trionfale del Regno di Dio, ad opera di un personaggio, il Messia: un misterioso "Figlio dell'uomo", che avrebbe ricevuto da Dio il compito di fondare il regno escatologico (cioè degli ultimi tempi, oltre la storia), vincendo completamente le potenze del male. Ora - dice Gesù - questo tempo è giunto. "Il regno di Dio è vicino" - Anche il tema della regalità di Jahvè era molto sentito nel giudaismo del tempo. Israele non poteva dimenticare che il suo vero Re era quel Dio che lo aveva liberato dalla schiavitù egiziana prima, e dall'esilio babilonese poi; quel Re che, tramite Mosè e i profeti, aveva donato la sua Legge imperniata su giustizia ed eguaglianza. Il "regno di Dio"indica dunque l'azione regale di Dio, il suo intervento salvifico, definitivo e risolutore, che stabilirà giustizia e pace sulla terra e in cielo, la sua perfetta signoria sulle anime, preannunciata dai profeti per la fine dei tempi. Come fa notare il biblista Bruno Maggioni, nel suo bel libretto "Il racconto di Marco" (Cittadella editrice), "l'annuncio di Gesù si colloca sullo sfondo di queste attese, ma contemporaneamente se ne stacca. A differenza della speranza ebraica che parlava di futuro, Gesù dice che l'ora messianica è arrivata, è qui nelle sue parole e nella sua persona: l'annuncio di Gesù ha un tono di gioia e insieme di urgenza. In secondo luogo la proclamazione di Gesù (tutto il racconto evangelico lo dimostrerà) è universale. Egli rivolge l'appello a tutti coloro che comunemente erano ritenuti fuori dalla gioia messianica, esclusi: i poveri, i peccatori, i piccoli, gli stranieri." (pagg.32-33). Possiamo ancora notare che l'avvento del Regno non comporta - come si pensava - un'immediata trasformazione della situazione del mondo di allora; Dio intende accordare agli uomini la sua salvezza in maniera del tutto nuova e unica nel suo genere, come sarà evidenziato dall'attività di Gesù: le guarigioni di ammalati, l'espulsione dei demoni, il perdono dei peccati e la misericordia verso tutti gli uomini. Particolarmente interessante è la connotazione che il Regno "è vicino"; l'originale greco"enghiken" è all'indicativo perfetto, che si può tradurre letteralmente "si è avvicinato", ma può anche essere reso con "è qui", "si è reso prossimo", "sta per realizzarsi in questa terra". Cioè: il Regno è già presente, perché è effettivamente giunto nella persona stessa di Gesù, come ben manifesteranno le sue parole e le sue opere; ma nello stesso tempo il Regno non è qualcosa di ben definito e già fatto, è una realtà in via di sviluppo, un "seme" (cfr. il cap.4 di Marco) che deve sbocciare e crescere e presentarsi ogni giorno come novità. "E' vicino" significa anche che non è ancora riconosciuto e accettato dalla maggioranza degli uomini. "Convertitevi" - E' la condizione richiesta per prendere parte alla nuova possibilità aperta dalla venuta del Regno: convertirsi, "metanoein" nell'originale greco, non è solo riconoscimento dei propri errori, ma cambiamento radicale, di mentalità e di comportamento, che ha un parallelo nel classico verbo dell'ebraico antico ("shuv" = ritornare), per indicare, secondo la predicazione dei profeti,il ritorno a Dio, da cui ci si era allontanati con il peccato (cfr. Ger.8,6 e Osea 14,2-3). L'esortazione si ricollega certo a quella di Giovanni Battista, che predicava un "battesimo di conversione per il perdono dei peccati" (Mc.1,4); ma, mentre l'invito di Giovanni era sotto il segno del giudizio e della punizione per i peccatori (cfr. Matteo 3,7-10;12), quello di Gesù fa piuttosto riferimento, in positivo, all'imminenza della venuta del Regno, che è anzitutto opera di salvezza. Perché è necessaria la conversione? Proprio perché, al contrario - ancora! - delle aspettative del tempo, l'avvento della signoria di Dio non è effetto di un folgorante intervento divino, ma si affida alla libera accettazione dell'uomo; di conseguenza la sua instaurazione non sarà trionfale ed evidente per tutti, ma lenta e soggetta a difficoltà ed ostacoli. Per questo Gesù esorta anche ad aver fede nel messaggio, come dicono le ultime parole: "e credete nel vangelo" - La signoria che si inserisce nella storia esige fiducia nel fatto che Dio opera tra gli uomini e che essi sono capaci di rispondere alla sua azione. "Credere nel vangelo" vuol dire accogliere con intima gioia l'offerta di salvezza che viene da Dio, prestar fede alla "buona notizia" del Nazareno e farla propria, nella consapevolezza che la salvezza è garantita proprio dal messaggio e dalla persona di Gesù. "Credere nel vangelo" vuol dire essere in comunione con Cristo, condividere la sua esperienza, camminare con Lui, fiduciosi di trovarci sulla strada della libertà e della vita. Ed è quello che hanno fatto Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, quando si sono sentiti chiamare (cfr.vv.16-20). |