Omelia (22-01-2012)
don Luigi Trapelli
Testimoni di un vangelo di gioia.

Il Vangelo di Marco di oggi ci ripresenta il tema della chiamata.
In questo caso la chiamata dei primi quattro apostoli: due coppie di fratelli.
Giovanni è arrestato e Gesù va in Galilea, dove predica il Vangelo.
Gesù offre alla gente una buona notizia.
Questo stile di vita già ci pone in crisi, perché noi siamo abituati a notizie terribili, a parlare di fatti negativi.
Specie in questi giorni dopo la tragedia della nave all'Isola del Giglio e in mezzo ad una grave crisi economica.
Quanta fatica a parlare di un messaggio di pace e di gioia.
Per Gesù il tempo è compiuto, la salvezza è arrivata, il regno di Dio è alle porte.
Il forte invito che Gesù pone è quello di convertirsi e credere al Vangelo.
Questa frase è molto forte.
Prima di tutto, prima di pensare a incontri formativi, quello che conta è cambiare vita.
L'incontro con Gesù sarà il motivo di questa conversione.
In questa frase vedo la grande fatica dell'annuncio della Chiesa di oggi.
Spendiamo molto tempo in incontri specifici, in catechesi fatte bene, ma ritroviamo quasi sempre le stesse persone.
Gesù ci fa capire che solo grazie ad una conversione si può realmente credere al Vangelo.
Sono sempre più convinto che sia questo il tempo delle esperienze forti, di catechesi che ripartano dai fondamenti della fede, pellegrinaggi o incontri con testimoni della fede.
Abbiamo bisogno di scuotere le coscienze di tanti cristiani per maturare nella linea di un radicale cambiamento del loro stile di vita, del modo di esistere.
Poi Gesù incontra la prima coppia di fratelli: Simone e Andrea.
Sono fratelli, perché nella Chiesa siamo chiamati a sentirci fratelli e sorelle gli uni verso gli altri.
Sono pescatori e vengono chiamati durante la loro attività normale.
La chiamata avviene nelle pieghe ordinarie del nostro esistere.
Il passaggio è fondamentale: da pescatori di pesci a pescatori di uomini.
Rimangono pescatori, ma pescano altro.
Lo stesso invito riguarda Giacomo e Giovanni, i quali lasciano il padre Zebedeo nella barca.
Il nuovo legame familiare non sarà più solo con il proprio sangue, ma con la famiglia che Gesù creerà, il gruppo degli apostoli.
Siamo chiamati ad annunciare un Gesù che ci salva e ci dona una vita nuova.
Tale chiamata non riguarda solo i consacrati, ma tutte le persone che vogliono seguire Gesù.
Per molto tempo la gente ha imparato ad essere discepola, ossia ad ascoltare il messaggio.
Oggi con un adeguato percorso formativo, è il tempo di un annuncio esplicito della fede, è il momento di diventare apostoli cioè inviati.
Non solo fruitori passivi di una Parola, ma coloro che la sanno annunciare nei vari luoghi di vita a partire dal lavoro e dalla famiglia.
In un mondo che fa fatica a vedere un futuro, abbiamo bisogno di credenti che sappiano additare una speranza perché vivono una fede autentica.
Anche noi siamo chiamati a lasciare le reti del nostro egoismo, delle nostre piccolezze, per rendere la nostra vita di qualità nella trasparenza delle nostre relazioni e nello stile con il quale scegliamo di vivere il nostro tempo.
In questi giorni celebriamo la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
L'unità si lega proprio a questo annuncio.
Le Chiese sono invitate a porre la centro il Cristo e pensare non solo ai rapporti tra le confessioni, ma ad una azione comune perché il Vangelo venga diffuso ovunque.
Solo così le comunità cristiane potranno avere spessore nel futuro: grazie al forte annuncio di un Vangelo capace di convertire le donne e gli uomini di oggi.