Omelia (29-01-2012)
don Roberto Rossi
Cristo Gesù nella nostra vita

«Che c'entri con noi, Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci?» Due grandi domande.
La prima: cosa c'entra con la mia vita quest'uomo di Galilea di duemila anni fa? Cosa viene a fare nella mia vita? Mi riguarda, mi importa, mi sfiora, mi scontro?
C'è collisione, c'è indifferenza? Cosa c'entra Cri­sto con il mio agire, con il lavoro, con la famiglia, con il divertimento? Quanto c'entra? Che rapporto ha con il mio quotidiano?
Cosa fa Gesù? È forse uno dei tanti personaggi della storia? Oppure c'entra ancora con la mia vita? Io so che Gesù ha cambiato il modo di es­sere uomini, ha cambiato il volto di Dio, ha cambiato il modo di amare.
«Ha fatto risplendere la vita» (Tim.1,10); ha resti­tuito l'uomo all'uomo; "in Cristo l'uomo è pienamente uomo". Ha dato una sola legge: amare senza inganno e senza violenza. Ci ha insegnato ad avere più paura di una vita sba­gliata, che non della morte; e dopo di lui certo è più bello e più facile essere uomini. Ma questo Gesù che ha fatto la nostra storia, que­sto Gesù fa ancora, adesso, la mia storia? E io decido le mie azioni e le mie scelte riferendomi a lui e ai suoi valori? Il Signore Gesù entra dentro di me, come germe di luce? Ancora parla con autorità? Ancora preme contro le mura dell'egoi­smo? Io sono credente solo se Cri­sto mi cambia la vita.
La seconda domanda: «Sei venuto a rovinarci?». Non è solo il grido di un indemoniato, è la sintesi di tanti nostri conflitti. In un verso bellissi­mo padre Turoldo sintetizza così: Cristo, mia dolce rovina.
E' impossibile amarti e poi accontentarsi. E'­ impossibile amarti e poi vivere di solo pane, di cose, dell'avere. Se entriamo in profondità dentro di noi, il con­flitto tra la nostra parte di ombra e la nostra parte di luce si esprime più o meno con queste parole: «Si­gnore, lasciami tranquillo nel mio angolo, con le mie piccole cose, con i miei piccoli amori; perché mi vuoi strappare dalle mie cose e gettarmi al largo? Perché devo abbando­nare ogni cosa, per venire dietro a te? A te, Cristo, mia dolce rovina?». Noi siamo sempre disposti ad accontentarci, a tro­vare più che sufficiente il nostro impegno cristiano, il nostro lavoro, il nostro cuore. Cristo, invece, si inca­rica di essere la nostra inquietudine; per lui sufficien­te è solo il tutto: «Amerai con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, amerai con tutto». La parte troppo umana di noi si lamenta con Cristo, si lamenta con il vangelo, perché ci pare che esso chie­da troppo, esiga troppo. Ma questo sentirci inadeguati, insufficienti, inca­paci, di fronte al vangelo, non è un segno di peccato, ma un segno dell'essere partiti finalmente con il van­gelo giusto. Bisogna sentire che il vangelo è un vangelo da Dio e non da uomini. «Sei venuto a rovinarci?» Ciò che Cri­sto rovina è la nostra convivenza con il male, la nostra condivisione quieta della giornata tra mediocrità e rimpianti. Questo è il nostro modo di essere oggi inde­moniati, cioè una giustificata, scusata, con­vivenza con il male. E' venuto a rovinare, certo, quel nostro cristianesimo ateo per cui siamo credenti alla domenica per un' ora e viviamo in un ateismo pratico per il resto della settimana. Eppure, se noi vogliamo seguire Cristo, se vogliamo vivere giornate che assomiglino alle sue, se vogliamo significare qualcosa per il mondo d'oggi, se non vogliamo essere scribi che nes­suno ascolta, testimoni che non convincono nessuno, sappiamo che la cosa più importante consiste non nel dire il vangelo, ma nel diventare vangelo, non nel proclamare il vangelo, ma nel fare il vangelo. E per fa­re questo non occorre parlare. Spesso sono i testimoni silenziosi i più efficaci e autorevoli. Gesù si avvicina a ogni nodo di sofferenza o di male e lo scioglie con la forza di Dio. E dice ancora allo spirito immondo: «Taci, esci dall'uomo!»... da ogni uomo, da ciascu­no, da me! Se vogliamo parlare con autorità agli uomini d'oggi, dobbiamo sentire che Cristo è venuto ancora a rovinare la nostra pacificata mediocrità. E Cristo deve entrare dentro di noi come lievito, come colpo d'ala, come respiro che dilata, o almeno come spina nella carne, come fatica che non mi lascia tranquillo. Cristo entra come dilatazione della vita. E Cristo è venuto come dilatazione del cuore e ha det­to: Ogni uomo è tuo fratello. E' venuto come dilatazio­ne della vita: «Sono venuto» dice «perché abbiate la vi­ta in abbondanza»; come dilatazione della fame: «Non di solo pane vive l'uomo», e dilatazione degli affetti: «Ti darò cento fratelli e cento padri e cento madri».
E poi è venuto a dilatare la speranza: «Ciò che oc­chio non vide mai, ciò che mai era entrato in cuore d'uomo, ciò che orecchio mai udì, questo Dio ha pre­parato per coloro che lo amano». La scelta ultima è tra l'intristirci dietro a poche e piccole cose in giorni tutti uguali, oppure perderci dietro l'appello di un cuore grande, dietro l'appello di colui che ti dà il mondo come casa e l'eternità come futuro.