Omelia (05-02-2012)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Gianni Caliandro

* "Il mio occhio non rivedrà più il bene" (I lettura). Lo sconforto di Giobbe, vissuto in un momento drammatico della sua esistenza, segnato dalla perdita della salute, dalla morte di persone care, dalle difficoltà persino nel suo lavoro, sembra dar voce a tutti quei moti del nostro animo quando viviamo situazioni simili. Quante volte anche noi, presi dall'amarezza o schiacciati dal peso delle situazioni, abbiamo pronunciato - nel cuore o con le labbra - parole come queste, senza riuscire più a scorgere un orizzonte di positività, di speranza, di sollievo! Non ne uscirò mai! Non ce la faccio più! Ormai è finita!... La prima lettura di questa domenica ci chiede di stare con questo grido, che può anche abitare in noi, e che comunque possiamo portare, nel suo peso, insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che ne sono abitati in questo momento. Stiamo con chi ha perso il lavoro e non sa come andare avanti, con chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, con coloro che hanno da affrontare una malattia del corpo o della mente, e chi non riesce a vedere il futuro davanti a sé. Giobbe che vive notti lunghe, interminabili, di quelle che sembrano mai finire, ha oggi il volto e la storia di tanti di noi, anche di tanti che domenica stanno celebrando insieme l'eucaristia, e che in essa cercano un pane di conforto e di sollievo.

* "Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni" (III lettura). Gesù oggi nel brano evangelico ci è raccontato nella sua dimensione di attenzione, di misericordia, di cura nei riguardi di chi vive una situazione di malattia e di sofferenza. Celebriamo questa eucaristia domenicale fiduciosi che qui incontriamo Colui che ci può guarire, Colui che è capace di donarci quel pane che riesce a saziare le nostre fami, e davanti al quale si può placare la nostra sofferenza. Ma celebriamo con Lui l'eucaristia anche per assomigliargli: il grido ascoltato, i volti incontrati, non possono lasciare neanche noi indifferenti. Nella vita cristiana, tutto deve diventare carità, altrimenti semplicemente è falso. L'ascolto di questo atteggiamento di Gesù ci ricordi, oggi, il primato dell'amore su ogni altra dimensione della nostra vita cristiana. E l'amore di Gesù era concreto, disponibile a diventare gesto, tempo dedicato, premura offerta fino a far risollevare le persone, come con la suocera di Simone. Siamo, tra le persone con cui viviamo, una presenza "guarente"? I nostri familiari, le persone che ci reputano amici, riescono a coglierci come una possibilità di cura? Senza attribuire a questa parola chissà quali attese o aspettative, spesso impossibili, ma senza neanche dimenticare che a curare non sono i risultati magici, ma la possibilità di essere ascoltati, i luoghi di condivisione e gli spazi di empatia, l'affabilità che ti fa sentire importante, la mano che stringe e sostiene il freddo che sembra essersi impadronito della vita.

* "Guai a me se non annuncio il vangelo!" (II lettura). In queste parole di Paolo c'è tutta l'intuizione e l'entusiasmo che lo hanno guidato dopo la sua conversione a Gesù. Tanti anni passati a viaggiare e a parlare, ad incontrare persone e sostenere contrasti, affrontare difficoltà, fino al martirio: tutto sostenuto e nutrito da questa passione per la predicazione del vangelo di Gesù Cristo. Sembra il riflesso della stessa passione che aveva Gesù, e che si intravede nella risposta che oggi ascoltiamo dare a chi gli chiedeva di rimanere ancora a Cafarnao, senza spostarsi, per continuare a rendersi cura dei malati che abitavano in quella città. Gesù non si ferma, continua il suo cammino, e dice: "Andiamocene...perché io predichi... per questo infatti sono venuto!". Oggi ci può far riflettere come sia la stessa persona che ha dedicato tanto tempo e tante energie a prendersi cura della sofferenza di chi incontrava, ad avere questo grande desiderio di predicare. È come se per Gesù il gesto della cura e la parola del regno fossero le due facce della stessa medaglia, inscindibili l'uno dall'altra. E questo stretto rapporto vale anche per noi, i suoi discepoli. Il gesto dell'amore e della cura è una parola, dice meglio di ogni altra cosa chi è Dio e quanto ci ami. E la parola che pronunciamo quando ci incontriamo con gli altri è la migliore cura che possiamo avere nei loro confronti, quella che anima la speranza e ti sostiene nel cammino della vita, dandole un orizzonte di futuro e di vita eterna, piena.

* Come cristiani vogliamo riscoprire la dimensione di cura e di sostegno che possiamo darci gli uni gli altri nelle nostre storie personali, senza spiritualismi o moralismi astratti che non sappiano diventare gesti concreti di affetto, di vicinanza e di compassione. E però non possiamo rinunciare, quando questa attenzione affettuosa e calda verso chi soffre farà nascere una domanda, a rispondere che lo facciamo perché lo stesso Spirito di Gesù ci spinge ad aprire gli occhi, ad avvicinarci alle persone, a guardare ogni essere vivente con uno sguardo nuovo e fiducioso, compassionevole e tenero.

* Così, prendendoci cura degli altri e parlando loro dell'amore di Dio, camminiamo, senza fermarci mai, come Gesù. E camminando, ci accorgiamo che quella cura prestata a chi incontriamo nella vita, e quelle parole rivolte agli altri, ci stanno guarendo.