Omelia (05-02-2012) |
don Roberto Seregni |
Contagio Settimana piena. Incontri che graffiano il cuore da mettere nelle Sue mani, parole pesanti come macigni da impastare con il lievito buono della speranza, silenzi spigolosi e taglienti da levigare con pazienza. Anch'io, come il Rabbì, sento il desiderio di ritirarmi nel deserto e portare con me i nomi e le storie di tanti fratelli e sorelle masticati dalla vita che si trovano davanti a un bivio salato di lacrime o a un dolore a cui non riescono ancora a dare un nome. Sabato sera, con un bel gruppo di giovani e adulti, siamo stati in preghiera davanti all'Eucarestia. Sono arrivato in chiesa con il cuore pieno di tante domande, pesi, storie e racconti. Per due ore, davanti a Lui, ho affidato ogni cosa alle Sue mani, ho travasato ogni pensiero sull'altare. Alla fine dell'Adorazione un'amica mi ha detto: "Sei arrivato un po' nervoso e ora invece sei tranquillo...". Davanti a Lui ho trovato il mio deserto, il luogo dell'intimità. Dopo l'esorcismo nella sinagoga di Cafarnao, la liturgia ci porta nella casa di Simone e di Andrea. In questo contesto domestico il racconto di Marco ci propone la prima guarigione del suo Vangelo: la suocera di Simone. Una scelta stranissima, almeno per due motivi. Primo: è noto a tutti che nella cultura ebraica la donna si trovava su un gradino inferiore rispetto all'uomo. Nel Talmud si trova scritto che è meglio che "le parole della Legge vengano distrutte dal fuoco, piuttosto che essere insegnate alle donne." (Sota B. 19a). Secondo: il miracolo avviene nel chiuso delle mura domestiche. Non ci sono folle di curiosi o di dubbiosi che cercano conferme dell'autorità messianica del Rabbì di Nazareth. Gli unici "spettatori" sono i parenti e i discepoli che accompagnano Gesù. Questi due elementi ci fanno intuire che in questa guarigione Gesù non cerca la rilevanza pubblica o la spettacolarità del gesto. La marginalità della donna e il nascondimento del prodigio ci fanno intuire che non dobbiamo correre il rischio di fare come lo stupido del proverbio, che guarda il dito di chi gli indica la luna... Come in molti altri racconti evangelici, la guarigione passa attraverso il contatto: la mano di Gesù afferra quella della donna e non solo la rialza dall'immobilità della febbre, ma le comunica la sua stessa vita, la sua essenza. Questo contatto sprigiona in lei una forza nuova che si incarna nella dimensione più concreta e tangibile dell'amore: il servizio. La mano di Gesù contagia: toccata da quella del Maestro, anche la donna inizia a servire. La suocera di Simone diventa così immagine e modello del discepolo, di colui che si fa toccare e ricreare da Gesù e da quel con-tatto con Lui esce trasformato. Coraggio, cari amici! Cerchiamo anche noi il nostro deserto per ritirarci in intimità con il Padre, lasciamoci contagiare dalla mano del Figlio Gesù, chiediamo che lo Spirito incendi di passione i nostri cuori! Buona settimana don Roberto In questi giorni troverete in libreria un mio nuovo testo: "Incontri. A tu per con Gesù", edito da Elledici. Sul mio blog (www.sullatuaparola.wordpress.com) potete trovare una breve presentazione. |