Omelia (05-02-2012)
Marco Pedron
Che cosa ho fatto io

Il vangelo di oggi ci presenta ciò che Gesù faceva sempre: Gesù predicava e guariva. Noi ci soffermeremo soprattutto sulla guarigione della suocera di Pietro.

Cosa accade? La suocera di Pietro è ammalata: ha la febbre. Possiamo liquidare la questione semplicemente dicendo: questa era ammalata, Gesù è il Figlio di Dio, può tutto, quindi anche quello di guarire chi vuole, per cui la guarisce. Ma possiamo anche scendere più in profondità e osservare la relazione, il rapporto fra Gesù e questa donna.
E così ci chiediamo: perché la suocera di Pietro ha la febbre? Sappiamo due cose. 1. Innanzitutto: se è la suocera di Pietro vuol dire che Pietro era sposato con sua figlia (cfr. 1 Cor 9,5). 2. Inoltre sappiamo che un attimo prima (1,16-20) Pietro e Andrea, finché riassettavano le loro reti in riva al mare, erano stati chiamati da Gesù. E loro "subito", dice il vangelo, "lo seguirono". La stessa cosa accade a Giacomo e Giovanni. Adesso tutti e quattro vanno a casa di Pietro (1,29).
Allora iniziamo a capire bene la febbre della madre della moglie di Pietro. Le donne lavoravano in casa e Pietro era l'unico sostentamento della sua famiglia. Gesù lo chiama e Pietro, dice il vangelo, lascia le reti e lo segue (Mc 1,18).
Potete immaginare, capire, la suocera: "E adesso? Ma cosa sta facendo Pietro? Ma si rende conto? Ma è pazzo? Ma è fuori di sé? Noi non siamo mica ricchi! Come camperemo? Chi ci permetterà di sopravvivere? Gli dà da vivere questo Gesù? Gli garantisce uno stipendio?".
E poi: "Bella reputazione ci facciamo! Cosa si dirà in giro: "Tuo genero ha lasciato la sua donna per seguire un uomo, di cui non si dice per niente bene! E non si rende conto che ci espone al giudizio della gente e della sinagoga? Questo Gesù si è già messo contro la sinagoga e fa cose "pericolose". Si dice che guarisca in nome del demonio: e mio genero segue gente così. Ma io mi vergogno perfino ad uscire, a farmi vedere".
E poi tutte le valutazioni teologiche e di buon senso sulla cosa: "Ma come si fa a piantare in asso la propria moglie? Che ci sia qualcosa dietro? (Perché quando una cosa è strana dev'esserci qualcosa dietro!) Se venisse da Dio non chiederebbe a Pietro di lasciare la famiglia! E' libertà questa o egocentrismo, chi lascia una famiglia per pensare solamente a sé?".
Possiamo capire la suocera di Pietro? Penso proprio di sì. Se nostro figlio fosse quel Pietro lì, forse avremo detto ben di peggio di uno come Gesù.

Ma cosa vuol dire che ha la febbre? Piresso, indica appunto la febbre, il calore, l'alterazione. Pir, infatti, in greco vuol dire proprio fuoco. Cosa sta succedendo allora?
Pietro fa il pescatore, la moglie e la suocera lavorano in casa (o su un pezzo di terra, se ce l'hanno). Tutto procede bene. Ma arriva Gesù (il distruttore di famiglie! Lc 12,51-53), si intromette in quella famiglia, l'equilibrio si rompe e arriva il caos. Allora la suocera è furiosa: "Ma cosa vuole questo Gesù da noi?". Se avesse potuto lo avrebbe "brusà (bruciato)", ma non poteva! Purtroppo gli tocca subire l'influenza di questo uomo, Gesù, su Pietro che distrugge l'equilibrio familiare e le scatena tutte le paure, per questo ha l'influenza! Ma se avesse potuto! Capite quanta rabbia e odio c'è dentro! Che fuoco brucia dentro!
Vacanze di Natale. Giorno di Natale: a casa tua hai invitato i tuoi parenti perché si sa che "Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi" (chi l'ha detto?). Tu sei ai fornelli, ma c'è anche tua madre e tua sorella. Tua madre ha sempre da dire qualcosa su quello che prepari: "Qui ci vuole più sale! Ma non ti ricordi come ti ho insegnato da piccola: non devi fare così! Troppo cotta! Fa' come ti dico io e vedrai come verrà gustoso!". Tua sorella poi: "Sì buono proprio, certo non come quello dell'anno scorso (visto che si faceva a casa sua!)". Così tu macini odio e rabbia: per il quieto vivere stai zitta e non dici nulla, ma dentro di te hai l'Etna: "Ma perché ci devono mettere la bocca in casa mia? Facciano a casa loro, così lì fanno come vogliono". E continui a subire la loro influenza (competizione inconscia), finché finalmente se ne vanno e tu dici: "Finalmente, adesso a casa mia faccio quello che voglio io!". E il giorno dopo, quando loro se ne sono andate, tutto l'Etna esce fuori. Ecco la febbre.

E Gesù? Come sente della malattia va subito a trovarla (Mc 1,30). Gesù intuisce la situazione: questa donna "ce l'ha con me". Poteva far finta di niente; poteva dire: "Se ha qualcosa me lo verrà a dire! Non sono problemi miei!". Ma Gesù intuisce la difficoltà della donna.
Hai dell'odio, della rabbia con qualcuno? Chiarisci e confrontati con lui. Perché l'odio genera odio e il fuoco della rabbia ti brucia gli organi e ti acceca il pensiero. Molte guerre nascono non per motivi reali ma per interpretazioni delle persone: qualcosa di piccolo li ha feriti, li ha fatti dubitare, li ha infastiditi, e, invece di chiarire, l'odio poi esplode.
Watzlawick in un libro dal titolo indicativo: "Istruzioni per rendersi infelici" racconta questa storia: "Un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio: "E se il mio vicino non me lo vuole prestare? Già ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l'ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito. E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l'esistenza agli altri. E per giunta si immagina che io abbia bisogno di lui, solo perché possiede un martello. Adesso basta". E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e prima ancora che questo abbia il tempo di dire: "Buongiorno", gli grida: "Si tenga pure il suo martello, villano!".
Hai un problema con Tizio? Vai da Tizio. Hai un problema con Caio? Vai da Caio. A volte invece che facciamo noi? Ho un problema con Tizio e vado da Caio (che non centra) a parlare del mio problema con Tizio. Ci vado perché è più facile, ma non risolve la situazione con Tizio.
Se ho avuto un problema con te, con te io troverò la soluzione.

Poi il vangelo dice che Gesù si accostò, la sollevò e la prese per mano (Mc 1,31). "Si accostò" (proserchomai) vuol dire proprio "farsi vicino". Fra i due c'era distanza, ma Gesù si fa vicino, riduce la distanza, prende l'iniziativa e la incontra.
"La sollevò" (egheiro, alzarsi, svegliarsi, sollevare, risorgere): la donna è distesa, non vuole avere a che fare con Gesù, ma Gesù le parla, le sta vicino, finché la donna gli dà ascolto e "si solleva" dalla sua paura che la domina e dalla preoccupazione per ciò che sta accadendo.
"La prese per mano" (krateo): indica un impossessarsi della mano: il verbo krateo vuol dire dominare, impadronirsi, impossessarsi, avere potenza. Gesù vuole proprio incontrarla, toccarla; Gesù vuole che la donna senta chi è lui, che lei possa farne esperienza di persona, che lo possa conoscere. Da questo verbo viene anche la parola "cratere". La donna è un cratere inesploso; Gesù, invece, è un cratere la cui energia, lava vitale, non rimane dentro covando odio ma diventa energia per ridurre la distanza fra i due.
Cosa sta accadendo? Non sappiamo cosa si siano detti o cosa sia successo. Ma da queste poche parole capiamo che Gesù, sentito il risentimento della donna, ha preso l'iniziativa è andato da lei e piano piano le si è avvicinato, le ha parlato, finché la donna ha capito che quell'uomo non è né un pazzo, né un fuori di testa.

Cosa fa allora Gesù? La suocera è furiosa (alterata) con Gesù e non vuole saperne di lui. Gesù potrebbe dire: "Pazienza, la questione non mi riguarda. E' arrabbiata con me solo perché non sa accettare che Pietro mi segua. Non è un problema mio". In fondo era vero, ma cosa sarebbe successo?
Lui avrebbe vinto e la suocera avrebbe perso. Gesù avrebbe trovato la causa della febbre della donna (lui stesso) e tutto sarebbe finito lì. Gesù, invece, qui utilizza il metodo vincenti-vincenti.

Cosa facciamo noi in genere? Troviamo il colpevole e poi ci sentiamo a posto: "E' stato lui...; la causa è che lui...; è così perché...". Quando abbiamo scoperto che A ha causato B allora ci sentiamo a posto.
"Giorgia è timida perché la mamma la soffoca": così la mamma di Giorgia è la colpevole (la causa), Giorgia la vittima. Giorgia ci incute simpatia e sua madre antipatia. Ma stanno proprio così le cose? C'è un colpevole e una vittima? Non è che la relazione è fatta da due persone? Non è che sono in gioco entrambe? E' proprio vero che una madre soffocante crea una figlia timida? Tutte le mamme soffocanti creano figlie così? O non ci potrebbero essere altre ragioni? E poi: fosse anche vero che la mamma di Giorgia è "soffocante", cosa si risolve? La vera domanda è: "Noi cosa possiamo fare?".

Consiglio di classe: "Quel bambino, poverino! Che disastro! Come mai? Perché?". Nel silenzio imbarazzato, immaginate ora che un insegnante dica: "Potrei dirvi io, in confidenza, che cosa sta veramente succedendo: la sua mamma beve!". "Ah, beh, se la sua mamma beve, allora "noi non siamo colpevoli! Ecco, abbiamo trovato la vera causa!". Ma la vera domanda è: "Ma noi cosa possiamo fare per rendere più produttiva la permanenza a scuola di questo scolaro'".

Una donna dice: "Mio marito si chiude sempre in se stesso e non mi parla e così io gli brontolo". Lui dice: "Mia moglie mi brontola e io allora devo chiudermi in me stesso". Non se ne viene fuori! L'idea di fondo che noi abbiamo è: "L'altro deve cambiare; io devo aiutarlo a farlo diverso; così lui non va bene; è tutta colpa sua; se lui fosse diverso il rapporto andrebbe meglio". Perché lei non si dice: "Che cosa faccio io perché mio marito si chiuda in se stesso?". E lui perché non si chiede: "Che cosa faccio io perché mia moglie mi brontoli?".

La vera domanda è: "Che cosa faccio io perché succeda questo?". Questa è una domanda da adulti che non deresponsabilizza; è la domanda di chi si sente coinvolto in ciò che succede e non si tira fuori.

Una donna diceva: "Mio marito è un poverino, completamente succube della sua mamma". E poi pensava: "Come posso renderlo autonomo?". Lei lo voleva rendere autonomo ma non sapeva che lui usava la madre per poter essere più autonomo... dalla moglie! Lui era già, per così dire, autonomo ma non da chi pensava lei. Ma se si fosse chiesta: "Che cosa faccio per cui mio marito va sempre da sua madre", allora questa sì che sarebbe stata una buona domanda. Perché suo marito andava dalla propria madre proprio perché non aveva forti motivi per rimanere a casa con la sua donna.

Allora le due domande sono: 1. "Che cosa posso fare io in questa situazione?".
Non serve a nulla trovare il colpevole o la causa. Troviamola, verifichiamo che sia quella, ma non basta. 2. E soprattutto: "Che cosa faccio perché accada ciò?". Perché se io sono coinvolto nella relazione, nel legame, non posso tirarmi fuori, non posso addebitare solo all'altro la causa. E' che chiedersi questa domanda è un po' scomodo, ma dà anche la possibilità di agire e di modificare la situazione.
Perché se la colpa è dell'altro, io che posso fare? Niente, visto che la colpa è solo sua. Ma se anch'io sono in gioco, allora io posso fare qualcosa e lo posso fare su di me. Non a caso la Pnl dice: "Il senso della comunicazione è dato dalla risposta ottenuta". Se fai una cosa e ottieni A, e tu vuoi B, fanne un'altra.

Che fa Gesù, allora? Gesù fa una pedagogia vincenti-vincenti.
Non ho sbagliato io, non hai sbagliato tu. Non ho ragione, né hai ragione tu, ma tutti e due troveremo una soluzione che aiuti me e che aiuti te. Non sei tu cattiva; non sono io cattivo; è la nostra relazione che non va, che è disfunzionale.
Gesù si chiede: "Cosa posso fare io per questa donna?". Posso andare da lei. E infatti, ci va (Mc 1,29-30).
E poi: "Cos'ho fatto io perché lei abbia la febbre?". Ho agito un comportamento per cui lei mi sente un pericolo, un nemico. Quindi: vado e le faccio vedere che non ha motivo di vedermi come un pericolo, come un nemico, come un avversario. E infatti ci va, si accosta, la solleva e le prende la mano (Mc 1,31).
E tutti e due sono vincenti: Gesù è accettato e la donna capisce (il vangelo dice che al donna "si mise a servirli" Mc 1,31). Perché in una relazione se entrambi non vincono, entrambi hanno perso.

La sera stessa Gesù guarisce molti altri ammalati e scaccia molti demoni. Allora è ovvio che tutti lo cercano: "Tutti ti cercano" (Mc 1,37). Gesù è una celebrità. Ma è un grande pericolo per Gesù il concedersi alla gloria, alla fama, alla notorietà; c'è il pericolo di perdere di vista la sua vocazione (Mc 1,38; Gv 20,17), la sua strada, la sua missione.
La gente lo ac-clama, lo invoca, lo vuole, ma Lui se ne va a pregare, a ritrovarsi, a ricentrarsi. Perché quando si fa qualcosa di grande, di famoso, si rischia di rimanere succubi di ciò che si fa. Se tu sei una star, un cantante famoso, un grande calciatore, se non stai attento, l'immagine ti ingabbia e tu perdi te stesso. Non puoi essere più uno qualunque ma sei una star e ti devi comportare da tale.
Per questo Gesù qui dice: "Andiamoce altrove". Gesù, e c'infastidisce, qui dice un secco e deciso "no". La gente si aspetterebbe che lui rimanesse lì: ma Gesù si sottrae alle loro aspettative. Sono io che decido qual è la mia strada e dove devo andare e non voi e le vostre aspettative.
Vi ricordate Pinocchio: doveva andare a scuola, ma quante attrattive, quanti paesi dei Balocchi!

E poi Gesù va a pregare. Non era meglio utilizzare il tempo per guarire altri? No. Quando Gesù era troppo pressato dalle persone, faceva una cosa semplicissima: se ne andava da solo, a pregare, a ritrovarsi, a ricaricarsi, e si distaccava da tutti. "Ma tutti ti cercano, Gesù!". "Pazienza, io vado altrove!".
Molta gente si brucia: si dà tutta, si perde per gli altri, per i figli, per la casa, per il marito. E dopo alcuni anni non rimane più niente: si è esaurita (è depressa!)
Una volta c'erano le Abarth. Erano auto "spinte" ma avevano un difetto: fondevano. Le persone a volte hanno fatto così: hanno spinto troppo e poi si sono fuse. Allora: donati, datti con tutto te stesso, ma concediti spazi per te.

Il primo dovere che abbiamo è di volerci bene. Perché quando io sono fuso, cosa potrò dare agli altri? E come posso dire di amare gli altri se neppure so amare me stesso? Quando siamo vuoti non abbiamo più niente da dare. Mio nonno diceva sempre: "Se tiri troppo la corda, quella si spezza".
Quando senti che sei al limite, devi mollare la presa, rallentare, prima che la corda si spezzi. Non permettere che gli affari e i lavori ti esauriscano. Se lo permetti è colpa tua.
E' molto importante per noi prenderci quei piaceri che ci fanno bene. Ti piace una birra? Bevila. Ti piace ballare? Balla. Una cosa ti rilassa? Falla. Ti aiuta fare una sauna? Falla. Ti rilassa andare al cinema: e cosa aspetti a farlo? C'è un amico con cui stai bene? Esci con lui. Ti è di aiuto fare un giro in montagna: compilo. E poi continua il tuo viaggio, e la tua lotta. Perché, altrimenti, arriva un momento in cui la vita ce la fa pagare: depressioni, crisi, stress, spossatezze, perdita delle difese immunologiche, vuoto, stanchezza, insoddisfazione.

Nella "Vita della beata Umiliana de' Cerchi", di fra Vito da Cortona si legge: "Mentre la santa giaceva nel suo letto, dentro la sua cella nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco più, dal volto bellissimo: giocava nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e gli disse: "O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare?". E il bambino rispose: "Che volete che faccia?". E la benedetta Umiliana disse: "Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio". E il bambino disse: "Credi che sia bene che uno parli di se stesso". E disparve".
Dio è gioco, piacere, divertirsi, rilassarsi, far festa, godere e assaporare. Non dimenticate mai cosa dicevano di Gesù: "Un mangione, un beone, un festaiolo, uno che si dà ai piaceri".
Prima di fondere, fermati, e datti ciò che ti serve per ricaricarti e per stare bene.
Distruggersi per gli altri più che "amore per gli altri" è mancanza d'amore per sé.





Pensiero della settimana


Un ottimista vede nuove opportunità in ogni calamità,
un pessimista vede nuove calamità in ogni opportunità.