Omelia (12-02-2012) |
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PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Marco Simeone Questa è la sesta domenica del tempo ordinario e la liturgia ci sta facendo leggere il primo capitolo del Vangelo di Marco pezzo per pezzo, quasi a dirci che con la Parola di Dio le cose si fanno serie, importanti, mai banali. L'incontro tra Gesù e il lebbroso avviene proprio nel transito tra Cafarnao, dove aveva cominciato le prime guarigioni, e quei villaggi vicini dove doveva portare il Vangelo. Nel deserto che avvolge questi piccoli insediamenti certamente non c'è la sabbia, come nel Sahara, ma più che altro una natura così aspra che nessuno ci vorrebbe vivere; in fondo è zona di transito, terra di nessuno. Ma questo non significa che non ci sia nessuno, perché l'uomo a volte abita proprio là, per scelta/colpa propria o perché qualcuno ce l'ha mandato. Qui si apre una grande parentesi su cosa è bene e cosa è male: abbiamo iniziato la storia con i nostri progenitori che hanno detto a Dio: guarda Signore che vogliamo giudicare noi, vogliamo toccare con mano ed eventualmente decidere noi cosa è bene e cosa è male! E ci siamo ritrovati tutti qui, ma ancora sarebbe poco male perché almeno saremmo insieme sulla stessa barca; il peccato invece è tutto ciò che mi isola, mi fa stare fuori dall'accampamento, mi relega nel deserto. Se almeno fossimo ancora capaci di ascoltare! Non dico Gesù, forse potrebbe essere troppo, ma basterebbe ascoltare la nostra coscienza, la nostra anima, quando si lamenta perché il deserto è disumano, per tutte quelle scelte che invece di darci qualcosa ci hanno reso ancora più aridi. Hai voglia poi a dichiarare solennemente che una scelta è pur sempre una scelta con la sua dignità ... se poi ti ritrovi nel deserto chi ci sta male sei tu. Quando Dio ci svela ciò che è peccato e cosa non lo è, non sta dettando un nuovo "galateo" spirituale ad uso di virtuosi vari; al contrario sta raccontando come è fatto Lui e quindi anche come siamo noi, e che senza Dio non possiamo essere noi stessi, ci mancherebbe la cosa più importante: la nostra identità di figli Suoi. Quello del lebbroso è un caso speciale perché il problema è di tipo medico e l'allontanamento è disposto dalle leggi di Mosè: nell'Antico Testamento alcune situazioni materiali sono prese come immagine di quelle spirituali, per cui come alla lebbra non c'è cura, anzi si rischia il contagio, così il peccato per l'anima fa lo stesso lavoro. Ecco perché partendo dalla salute fisica ci si ritrova a ragionare in modo spirituale. È Gesù che va nel deserto a farsi incontrare: che speranza! Guardando un mondo che sbanda in cerca di salvezza ma in modo confuso e spesso lontano da Dio, la notizia è che Gesù, e aggiungo io la Sua chiesa, "va in cerca", perché nessuno è abbandonato, nessuno è solo. L'incontro è drammatico: "se vuoi, tu puoi guarirmi!" qui non si chiede timidamente, qui si va al cuore, è questione di vita o di morte, pena il rimanere nel deserto. I verbi sono fenomenali: "commosso" (meglio: con quel groviglio "intestinale" di emozioni che un padre vive quando ritrova il figlio che si era perduto), "lo tocca" (azzeramento di tutte le barriere e distanze, ma anche superamento della Legge che non metteva l'uomo in condizione di uscirne fuori) e lo guarisce. "Lo voglio, sii guarito!" il tono imperioso è il tono del Signore della vita che ristabilisce l'ordine, il padre che libera il figlio dal laccio che lo imprigiona, l'artista che combatte per il suo capolavoro: quando nell'Antico Testamento si usava il titolo JHWH Sabaoth significa Signore che sei a capo degli squadroni, Colui che è Potente per eccellenza, e questa potenza che a noi smuove remote paure, qui svela il suo volto di potenza d'amore a servizio della vita, per cui quest'uomo non è più malato e reietto ma risanato e ristabilito, semplicemente con una parola. Questo è il nostro Signore, che ha concesso a noi il potere di guarire ogni uomo. Dalla guarigione nasce una dignità nuova: prima era stato portato dai sacerdoti per l'accertamento della malattia, ora sarà lui stesso in grado di andarci per farsi riaccettare e rendere testimonianza alla potenza di Dio. La domanda sorge spontanea: avrà capito? O meglio: sarà in grado di vivere da uomo rinnovato? Voi che dite? Obbedisce a Gesù o fa di testa sua? Magari per avvertire qualche altro sventurato come lui, ma lo sapete che la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni... L'amore di Dio vive questa tragicità: viene a salvare ogni uomo perso nel proprio deserto, eppure quel deserto sembra avere il potere delle sirene di Ulisse, l'uomo continua a fare di testa propria e, uscito dal deserto vi rientra ancora... Eppure Dio non si stanca: "io sono venuto a salvare i peccatori!" Tu ascolti il Signore? Sei in grado di vivere da uomo o donna libero/a? Perché ricordati che Gesù continuerà a venirti incontro e a salvarti, a farti uscire da ogni deserto: impara da Lui come volerti bene, allora sì che potrai annunciarlo al mondo intero. SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Stefano e Teresa Cianfarani "Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento". In questa situazione del vangelo di Marco, possiamo metterci sia nei panni del lebbroso, in quanto malati, sia in quelli di Gesù in quanto suoi discepoli. Il lebbroso che probabilmente si è sempre mantenuto alla larga della "comunità civile" obbedendo così al comandamento del libro del Levitico, osa invece avvicinarsi a Gesù, inginocchiarsi davanti a Lui ed rivolgerGli la sua preghiera. Quanto doveva essere accogliente Gesù! Il suo sguardo, le sue parole, il suo atteggiamento, il suo "stile" dovevano ispirare una tale fiducia da indurre a saltare le convenzioni sociali cristallizzate in vere e proprie leggi. Il lebbroso invece di tenersi alla larga come prescritto si avvicina nella certezza di non essere allontanato e nella speranza di essere guarito. Ed ottiene prima ancora della guarigione, la compassione/commozione di Gesù e la sua accoglienza tangibile espressa da quella carezza ("lo toccò"). Di fronte alle situazioni umane più tragiche e disperate, Gesù si commuove. Di più, compatisce, ne condivide nel cuore il dolore e il peso. Si fa coinvolgere, potremmo quasi dire travolgere dalla sofferenza umana, tanto da immergersi in questo oceano di male con la sua passione redentrice. Ma qui c'è anche una preghiera particolare cui il Signore non sa, non può e non vuole resistere. "La preghiera del lebbroso è irresistibile. Se vuoi, puoi guarirmi. Se vuoi. Cioè, se ciò ti fa piacere, se fosse fonte di gioia anche per te. Se vuoi, cioè se tu volessi fare questo piacere a te stesso. Che audacia! Questo lebbroso osa credere di poter essere la gioia di Gesù e dà più importanza a questa gioia che alla propria guarigione e felicità. Ha intuito l'amore grande di Gesù. Quale audacia invadente e, decisamente, divinamente irresistibile! Il lebbroso ha colto nel segno, ha colpito il centro. Ha toccato l'amore di Gesù. Lo ferisce e riapre la piaga del suo cuore. E' proprio per puro amore, per eccesso d'amore, che Gesù è sulla terra, sui crocicchi delle strade per offrirsi a tutti coloro che sono feriti nel corpo e nell'anima. Se vuoi! Ogni preghiera deve essere così, sospesa al volere di Dio, alla potenza straordinaria e creatrice del suo amore. Anche noi, con tutto il nostro essere, col nostro lavoro e il nostro riposo, coi nostri rimpianti e i nostri progetti dovremmo rimanere rannicchiati nell'abbraccio dell'amore di Dio, sospesi alla sua volontà e alla gioia che Egli vuole dare a se stesso colmandoci della sua grazia" (Andrè Louf). Secondo alcuni codici davanti a questo lebbroso Gesù invece di muoversi a compassione si adirò (indignò) verso la potenza del male che imperversa sulla terra nelle sue multiformi manifestazioni. Ha un moto di insofferenza, di ribellione verso il male che deturpa e disumanizza il volto dell'uomo. "Lo voglio, sii purificato!". "Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento". Questo atteggiamento dell'Antico Testamento di fronte al male è una tentazione costante per il cristiano. Di fronte al male sia esso fisico o spirituale che si incarna in persone cerchiamo spesso di fuggire. Abbiamo paura di esserne contaminati di perdere la nostra "serenità". Quanto è difficile saper accogliere ed amare chi ha il corpo o l'anima deturpati! Come è difficile resistere alla tentazione della rimozione e dell'oblio. Gesù ci insegna la compassione, ribaltando la legge antica ci insegna che la purificazione nasce dal farsi vicini, dalla condivisione, dalla carezza che allevia il dolore. Ed allora con gli occhi di Gesù volgiamo lo sguardo a cogliere nella nostra parrocchia, nei nostri luoghi di lavoro, nella nostra stessa casa, le situazioni di sofferenza che chiedono la nostra compassione, le persone, che magari diciamo di amare, che aspettano la nostra attenzione. |