Omelia (12-02-2012) |
Gaetano Salvati |
Il ministero dell'accoglienza Il vangelo di oggi riferisce uno strepitoso miracolo compiuto dal Signore nei confronti di un lebbroso. Innanzitutto, all'epoca in cui visse Gesù, un individuo colpito da lebbra era considerato un peccatore punito giustamente da Dio, e perciò un escluso della società. Il Maestro, invece, come riferisce l'evangelista, sentendosi interpellato da un sofferente, subito lo volle guarire (Mc 1,41). L'azione del Maestro sta ad indicare che il suo ministero è esclusivamente d'amore, di accoglienza dell'altro, del diverso, del reietto; per questo non permette che alcuno venga escluso dal regno di Dio. È la novità del suo annuncio: rivolgendosi ad ogni uomo, ribadisce che tutti necessitano di una cura spirituale e materiale, di una terapia repentina e perenne: l'ascolto della Parola e la vicinanza del Salvatore. Attraverso questi due "rimedi", l'umanità è in grado di riconoscere la dolce presenza del Salvatore; prossimità che rivela la piena e totale reintegrazione della creatura nelle relazioni con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Salvatore, infatti, non si accontenta di arginare il male, com'è scritto nella prima lettura (Lv 13,46), ma se ne fa carico: redime l'uomo da ogni forma di male, e da l'occasione di riprendersi ciò che ha perso peccando, vale a dire, la dignità personale e l'opportunità di ricominciare una nuova vita in Dio. E noi, sua Chiesa, affranchiamo l'uomo? La narrazione evangelica interpella ciascuno di noi a imitare la misericordia del Signore Gesù. Infatti, il racconto riportato da san Marco è convocazione alla sequela, appello alla comunità, riunita dal Dio Uno e Trino, a convertirsi per liberare l'uomo oppresso. Essere in conversione permanente significa scorgere la voce del Signore a seguirlo fino alla cima del Calvario, così da testimoniare al mondo la speranza di un "oggi" trasformato dalla speranza in Cristo risorto. Riusciremo ad affrancare l'uomo dal male solo se saremo Chiesa libera, esempio nel mondo della vera libertà, non quella che porta a facili consensi o a immediate vittorie; ma, la libertà annunciata da Cristo, capace di affrontare le sconfitte ed essere duratura nelle prove. Una Chiesa libera non si riconosce nelle potenze della società, bensì, in ascolto solo della Parola, sa intraprendere un cammino di purificazione. Libertà, allora, significa povertà: libera da sé, dalle ricchezze, la Chiesa è credibile perché è disponibile a servire coloro che si avvicinano a lei, e a criticare ogni presunzione mondana. A riguardo, le parole di san Paolo gettano luce sul mistero della Chiesa. Egli, scrivendo ai Corinzi, afferma: "fatevi miei imitatori" (1Cor 11,1); cioè, "se io, imitando Cristo Signore, sono pronto a tutto, anche voi dovete imitare la mia condotta compassionevole; in questo modo, riuscirete a glorificare Dio nella vostra quotidianità". Le parole dell'Apostolo indicano, ancora, che il vangelo non va vissuto attraverso grandi gesti o unicamente nelle grandi occasioni; ma, nelle realtà più consuete: nel lavoro, per strada; lì dove è necessario combattere contro le prescrizioni abituali, che ci impediscono di vivere nella goia trasmessa dal Maestro. Imitando Cristo, non lasciamo fuori nessuno; sforziamoci, nel sacrificio, di accogliere tutto e tutti, per contribuire a far crescere nella storia il seme della fede, dell'amore e della speranza. Amen. |