Omelia (12-02-2012)
padre Paul Devreux


Oggi Gesù guarisce un lebbroso.

Erano considerati come dei morti ambulanti.
L'unico modo che la società aveva trovato per difendersi dal contagio era isolarli, ma visibilmente un qualche modo per rimanere in contatto con il mondo dei normali l'avevano, magari tramite qualche parente che furtivamente gli portava da mangiare, tanto è vero che uno di questi viene a sapere delle guarigioni operate da Gesù e cerca d'incontrarlo. Gesù sta evangelizzando tutta la Galilea, e quindi si sposta da un paese all'altro. Non potendolo avvicinare in città, il lebbroso avrà approfittato di uno di questi trasferimenti per avvicinarlo in campagna, e lo fa supplicandolo umilmente, in ginocchio. Dice: "Se vuoi, puoi purificarmi!".

Dice "purificarmi" e non guarirmi perché associavano la malattia ad un peccato. Questo era molto brutto perché oltre ad essere malato, sentiva che doveva scontare un qualche peccato spesso sconosciuto. Con questo senso di colpa addosso il povero lebbroso si avvicina a Gesù con lo stato d'animo di chi non può pretendere nulla.

Gesù sente compassione per quest'uomo, tanto che allunga la mano e lo tocca. Questo equivale a dire che lo fa entrare nella sua vita e accetta il rischio del contagio. Così lo salva e il lebbroso torna ad essere una persona normale che può reintegrarsi nella società dove si metterà ad annunciare la buona notizia di Gesù che viene a salvare l'uomo, come ha salvato lui, mentre Gesù dovrà starsene fuori delle città, in luoghi deserti, un po' perché tutti lo cercano, ma anche perché ormai è un impuro, è uno di loro. I ruoli si invertono e questo ci fa intuire quanto queste guarigioni costano a Gesù.

Oggi non sappiamo cosa sia la lebbra perché difficilmente incontriamo un lebbroso nei nostri paesi, ma di lebbrosi in senso figurato, cioè gente che non vogliamo né vedere né toccare né tantomeno essere toccati da loro, dalle loro situazioni, dal loro vissuto, ce ne sono tanti, e tutti sognano quella mano tesa che Gesù è riuscito a dare a quel lebbroso.

Anche noi abbiamo trovato dei sistemi per tenerli lontano da noi: i confini, le carceri, le case di riposo, gli ospedali, le porte e soprattutto i ragionamenti con i quali giustifichiamo il nostro comportamento per poterci sentire sempre la coscienza a posto.

Gesù non ha avuto paura di diventare uno di loro. Non ha avuto paura di essere avvicinato e di avvicinarli. Ha persino osato toccarli, dopo di che non poteva più toccare nessuno, non poteva più fare una carezza ad un bambino perché ormai era uno di loro e doveva rimanere fuori dalle citta.

Questo succede a chiunque accetta di condividere le situazioni dei poveri, per lo meno tutto il tempo in cui lo fa; stai con loro e diventi uno di loro. Gli altri ti diranno anche bravo, ma poi non li vedi più: è normale, sei dall'altra parte del muro. C'è tutt'oggi un confine che separa chi ha diritto alla vita da chi no, e abbiamo il terrore che qualcuno o qualcosa ci acchiappi e ci porti dall'altra parte del muro diventando anche noi come i lebbrosi, senza salute, autonomia, lavoro, documenti, dignità, diritti, libertà. Lebbroso è chiunque vive una realtà che non voglio vivere.

Immagina di essere un bravo volontario che accompagna un barbone incontrato per strada ad un centro di accoglienza. Come reagisci se il responsabile del centro, dove presenti il tuo assistito, ti domanda: "E' suo padre?"

Gesù non ha avuto paura di chiamarci fratelli.