Omelia (12-02-2012)
mons. Antonio Riboldi
Ci sono, in noi, tante lebbre da guarire

Gesù, non solo quando era tra di noi fisicamente, così come ce lo presenta S. Marco, ma anche oggi, continuamente, con il Suo comportamento, seguita a stupirci, come del resto ha meravigliato e spesso messo in discussione chi lo avvicinava allora e ogni credente vero oggi.
Gesù non si sottrae dall'amare l'uomo che è in necessità, ma perché non vi fosse ambiguità sulla sua vera missione, che era quella di andare oltre l'episodio miracoloso, impone il silenzio: davanti alla esaltazione della gente, troppo umana, che rischiava di travisare la sua missione di salvezza totale dell'uomo, Gesù fugge per cancellare ogni errore. Voleva che chiaramente si capisse che il fatto miracoloso era solo 'un segno' della sua divinità, ma quello che Lo interessava, quello per cui era stato inviato dal Padre, era la di guarigione dalla pericolosa lebbra del peccato, che l'uomo si portava addosso. E quanta lebbra notiamo in noi a volte e attorno a noi.
Eppure, a differenza del lebbroso del Vangelo, che supplica Gesù perché lo guarisca, tante volte capita che, forse senza neanche accorgersene, tanti esibiscano la loro lebbra interiore, peggiore di quella fisica, come ostentazione e sfoggio di sé. E' il grande pericolo che noi tutti corriamo. Proviamo a pensare alla natura del peccato; parlo soprattutto di peccato grave. Non è forse vero che oggi tante volte è ambigua esibizione estetica o cattiva interpretazione di libertà?
Basta pensare, per esempio, all'uso del proprio corpo come merce, diventato un vero mercato. Eppure tutti sappiamo come sia di una coscienza sana rispettare il corpo, 'mezzo' che Dio ha donato per compiere tanto bene in ogni direzione.
Davvero la 'lebbrà del peccato rischia di diventare moda da esibire.
Ma in chi di noi ha conservato la delicatezza di coscienza che ci porta a difendere la bellezza interiore, che si esprime proprio con la delicatezza e modestia verso il proprio e altrui corpo, sa molto bene che non è possibile coniugare la bellezza dell'anima con la strumentalizzazione del corpo. Sappiamo tutti come i santi, a volte, trattassero anche duramente il proprio corpo, ma per sottomettere le passioni alla virtù. Basterebbe pensare a S. Francesco dopo la sua conversione. Quello che conta per i santi è che il corpo sia a servizio della santità e non mezzo di perdizione. Quella che Dio chiede a noi, è con Lui costruire giorno per giorno la santità, che è la sola bellezza che possiamo avere. Dovrebbe 'la lebbra interiore', il peccato, ben più orrenda di quella esteriore e fisica, portarci alla preghiera di guarigione, come è nel Vangelo di oggi:
"Venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: 'Se vuoi, puoi guarirmi'. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: 'Lo voglio, guarisci!'. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 'Guarda di non dire niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote e offri la tua purificazione, quella che Mosé ha ordinato a testimonianza per loro. Ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte". (Mc. l, 40-45)
E' bello vedere come giustamente il lebbroso guarito, abbia sentito l'urgenza di comunicare la sua gioia, di avere" ritrovato la pienezza della salute, a tutti: e lo avremmo fatto anche noi al suo posto, ma nello stesso tempo il Vangelo evidenzia soprattutto come Gesù non volesse che Lo considerassero un semplice guaritore di piaghe esteriori.
La sua missione di Figlio di Dio era di guarire la lebbra che abbiamo dentro e a volte è tanta.
Una missione che voleva riportarci a quella bellezza che Dio ci aveva destinato quando ci ha creato nel paradiso terrestre e che desidera con tutto il Suo cuore che noi la riconquistiamo, attraverso le nostre scelte di amore, libere e consapevoli, illuminati e sorretti dalla sua stessa Grazia.
Ecco dunque, oggi, il sacramento della penitenza, sacramento di riconciliazione con Dio, con il prossimo e anche con noi stessi: una vera e profonda azione della Grazia lasciataci, ma che esige la stessa fede del lebbroso. Ma è così?
Oggi c'è il rischio, molto grave, di tenere in conto la bellezza fisica più di quella interiore.
Il corpo non è una 'cosa da usare' per affermare i nostri vizi, che sono la depravazione della bellezza, ma è un dono che Dio ci ha dato, per affermare la santità che è la sola bellezza di ciascuno di noi. Questa certezza richiede una sana educazione umana e spirituale. Purtroppo basta vedere come i mezzi di comunicazione facciano un cattivo uso del corpo maschile e femminile, per rendersi conto che ciò che conta è più la soddisfazione o il piacere dell'essere ammirati, costi quel che costi, che non consapevolezza del proprio valore di persone, salvaguardato da sobrietà e dignità. Non è facile per molti neppure sapere distinguere la vera bellezza dalla falsa bellezza, consegnata ai capricci della moda e del tempo, in una società dove chi non si adegua rischia di essere deriso anziché lodato.
Ma la vera bellezza la si vede nello sguardo che, se innocente, è davvero un 'pezzo' di cielo che comunica armonia e amore puliti; è nella scelta di costumi che riflettono rispetto alla persona e non esibizione; è nella insostituibile bellezza della carità che mostra come sia il Cuore di Dio.
Ma occorre un'educazione da piccoli. Le nostre mamme, certamente, forse perché 'povere' e quindi lontane dai capricci della moda, sapevano dirci quali erano i veri valori e la vera bellezza nella fede e nella santità. Oggi purtroppo a volte questa cura non c'è.
Allora la domanda spontanea che viene da porci è questa: qual è la vera bellezza, a cui dovremmo aspirare, ciascuno di noi? Quella di un cuore buono, che cura la bellezza interiore dell'anima, o la bellezza effimera di un corpo che dura poco ed è destinato a essere quello che è: cenere?
E' vero che il consumismo, cui non interessa la bellezza dell'anima, continua a offrirci modelli di bellezza esteriore cui rivolgere l'attenzione. Ma è al consumismo che dobbiamo guardare o alla bellezza interiore?
Incontrando più volte Madre Teresa di Calcutta, si restava sempre affascinati e stupiti dalla sua bellezza che traspariva da ogni gesto e parola, anche se fisicamente non aveva alcuna particolare attrattiva. L'esteriorità era una cornice, che però irradiava la sua santità di vita, il suo essere continuo in Dio e con Dio. Comprendiamo allora come Gesù, dopo avere guarito il lebbroso, temendo di essere considerato un guaritore dei corpi, fugga in luogo deserto, sottraendosi alla curiosità e ad una errata conoscenza di chi veramente era Lui.
Ed oggi è proprio la riscoperta della attenzione che Dio ha per noi che ci invita a riflettere. Gli innamorati di Gesù sanno come 'vedere e amare Gesù'. E più cresce questa conoscenza, più si allontana l'adorazione del corpo. Non è ai 'modellì del mondo che si deve guardare, ma a Lui, vero modello di bellezza, per sottrarci a possibili 'lebbre' dell'anima.
Occorre avere in Gesù quella fede gioiosa che offre Paolo VI.
Alla domanda che si fa: 'Chi è Gesù?', risponde: "La conoscenza di Gesù riguarda la nostra concezione dell'uomo: interessa direttamente i destini della vita. Riguarda il valore da dare alle cose. Diventa sapienza del mondo, entusiasmo dell'anima. E' l'affermazione che obbliga il mondo, ogni coscienza a prendere una posizione morale sul significato e il valore della propria esistenza. Ha incominciato a svegliare e mettere in moto dei poveri pastori, nel primo momento in cui è stato annunziato alla terra. Non lascerà più indifferente alcuna generazione e alcuna manifestazione di vita. Sarà l'insonnia del mondo. Sarà la segreta forza che consola, che guarisce, che nobilita l'uomo, la sua nascita, il suo amore, il suo dolore, la sua morte. Sarà la vocazione del mondo all'unità e all'amore: sarà la costante energia a perseverare in ogni secolo nella bella ricerca del bene e della pace. E' un'affermazione troppo importante e non si può rimanere ignavi, frettolosi dinanzi ad essa". Ascoltiamo allora le parole che S. Paolo scrive ai Colossesi:
"Fratelli, sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualunque cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a molti, perché giungano alla salvezza.
Fatevi miei imitatori, come io sono di Cristo".
Con S. Faustina preghiamo:
"O Gesù, Dio eterno, ti ringrazio per i tuoi innumerevoli benefici e le tue grazie. Ogni battito del mio cuore sia un inno di ringraziamento per te o Dio.
Ogni goccia del mio sangue veicoli per te, o Signore.
Che l'anima mia sia tutta un cantico di ringraziamento per la tua misericordia".