Omelia (12-02-2012) |
don Luca Orlando Russo |
«Lo voglio, sii purificato!» C'è un notevole contrasto tra le due scene descritte, rispettivamente, dalla prima lettura e dal Vangelo. Nella prima lettura, abbiamo visto come si comportava, di fronte a uno sventurato colpito dalla lebbra, la legge di Mosè. Sono prescrizioni che atterriscono: l'infelice deve allontanarsi dalla società, vivere «fuori dell'accampamento» e gridare: «Immondo!», perché nessuno si accosti a lui; la società si difende dal lebbroso. Nella lettura evangelica, vediamo come si comporta dinanzi a un lebbroso Gesù: egli si commuove, stende la mano, lo tocca e lo guarisce. E questo, in un tempo nel quale si era convinti che toccare un lebbroso significasse votarsi al contagio certo, alla contaminazione; significava diventare immondo con l'immondo ed escludersi anche dal culto di Dio. L'atteggiamento, apparentemente spietato, della legge di Mosè è ispirato dalla preoccupazione della santità di Dio e del suo popolo; nulla di impuro e di corrotto deve contaminare questa santità; tutto ciò che ha attinenza con la morte è da tenere lontano dal Dio della vita. E la lebbra è, per antonomasia, corruzione, impurità, principio di disfacimento e di morte. Si tratta di un concetto di santità che ha come elemento essenziale la purezza esterna e rituale; prima dell'energica reazione dei profeti, essa è più un fatto di igiene che di coscienza. Gesù rovescia proprio questa concezione della santità e della purezza, riportando queste cose alla loro vera radice che è l'intenzione dell'uomo: non ciò che l'uomo tocca, non ciò che entra in lui, non le mani sporche macchiano l'uomo, ma ciò che l'uomo pensa, ciò che esce dal suo cuore (cfr Mc 7,17-23). Per gli uomini dell'Antico Testamento e del tempo di Gesù, la lebbra era strettamente legata all'idea di peccato, ne era considerata quasi la proiezione esterna, il segno e la conseguenza. Che può fare la legge contro il peccato? Nulla, dice Paolo! Può solo rivelarlo e prenderne atto, ma non può toglierlo (cfr Rm 7). Ecco perché la legge mosaica si limitava a schedare il lebbroso, ad allontanarlo dalla comunità e basta. Ma Gesù supera la legge con la misericordia. Egli guarisce la lebbra, cioè rimette i peccati e risana l'uomo: è il buon samaritano che passa accanto al ferito, si ferma, ne ha compassione, lo carica sul suo giumento e se ne prende cura (cfr Lc 10,34ss.). E tutta un'altra cosa! Gesù è anche oggi questo buon samaritano; è anche oggi colui che dice: «Lo voglio, guarisci!». Questo sperimentava la prima comunità che ci ha tramandato il racconto odierno: Gesù salva dal male e salva prendendo su di sé tutti i nostri languori e le nostre sofferenze (cfr Is 53,4; Mt 8,17; 1Pt 2,24; 1Gv 3,5). Egli salva, talvolta, anche dal male fisico e dalla morte e lo fa perché sappiamo che egli è in grado di salvarci da quel male più profondo e più radicale di tutti che è il peccato. Ma c'è una parte essenziale del brano evangelico che è rimasta finora fuori della nostra attenzione. Quell'uomo «andò da Gesù», gli si gettò in ginocchio dinanzi, gli gridò: «Se vuoi, puoi guarirmi!». C'erano, forse, tanti lebbrosi nascosti nei dintorni; ma si vergognarono di mostrarsi, Questi vinse la vergogna e la inveterata paura di infrangere una legge, anche se ingiusta; sapeva che tutti lo avrebbero additato come un peccatore, perché la lebbra era - si diceva - sinonimo e conseguenza di peccato. Perciò, era come se venisse a palesare a tutti il suo peccato a fare una specie di confessione pubblica. E fu risanato perché lo chiese, perché si umiliò, perché si mise in cammino e credette nella potenza del Signore. E noi? Buona domenica e buona settimana! |