Omelia (28-12-2003)
don Romeo Maggioni
Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio.

per il rito Romano
1Sam 1,20-22.24-28 – 1Gv 3,1-2.21-24 – Lc 2,1-52

Nel clima del Natale la famiglia si ricompone e riscopre i suoi valori e la sua vocazione. A questo mira la festa liturgica di oggi invitandoci a guardare alla famiglia di Nazaret come a icona esemplare e misura della riuscita delle nostre famiglie.
Il vangelo ci offre l'unico flash che possediamo sulla vita quotidiana di questa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, in quei trent'anni e più passati nella normalità di una vita d'amore, di lavoro, di fede; un flash su un momento dirompente ma rivelatore dei sentimenti del figlio e dei genitori nei confronti proprio di Dio, cioè nella loro interiore vicenda religiosa.

1) IL FIGLIO

Cominciamo a guardare al figlio: "Partì con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso". Per trent'anni ha vissuto in famiglia, e solo tre anni se ne andò per la sua missione; forse per dirci che la santità è per la gente comune, appunto nella vita d'amore e di lavoro che si vive in famiglia. E' nel quotidiano il luogo della propria santificazione, non nei gesti straordinari. Oltre che in famiglia, sembra che Gesù seguisse Giuseppe come aiuto artigiano nei cantieri di lavoro aperti nella vicina città di Sefforis – allora capitale della regione; nel lavoro quindi e nelle relazioni sociali comuni passa l'opera di maturazione che le circostanze – o la Provvidenza di Dio – assegnano ad ognuno come habitat culturale e sociale in cui si nasce.

San Giovanni Bosco diceva: "Come si fa a diventare santi? Facendo bene tutto ciò che dobbiamo fare".
Vivere le cose di tutti, ma non come le vivono tutti: il cristiano ha un suo modo proprio di vivere le cose di tutti i giorni. Di Gesù oggi è detto che i suoi genitori lo trovarono al tempio "seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e per le sue risposte". Ecco il riferimento: la Parola di Dio, il suo progetto. Il cristiano è colui che delle cose che contano non si fida di sé o degli altri, ma di Dio che ne è il Creatore. Gesù al tempio, a dodici anni, celebra il rito della piena sottomissione alla Legge (bar mitzvah); noi potremmo dire: all'oratorio a studiare il catechismo per cogliere l'unico modo giusto di realizzare la vita!

Progetto che nella sua sostanza è sentirsi figli propri di Dio. Questa è la più vera identità d'ogni uomo, e quindi il ruolo più profondo e riassuntivo d'ogni altro che si voglia realizzare. Dice oggi la prima Lettera di Giovanni: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!". Gesù ne ha già da adolescente esplicita coscienza e oggi lo dichiara con forza: "Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Figli di Dio per divenirne eredi: non c'è altro destino che porti a riuscita l'uomo, predestinato com'è "a immagine del Figlio suo perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29).

2) I GENITORI

Guardiamo ora ai genitori, Maria a Giuseppe. Casalinga lei, artigiano lui. Non hanno fatto nulla di speciale, ma la loro casa fu un santuario di Dio. Gente di profonda fede personale: Maria "la serva del Signore"; Giuseppe "l'uomo giusto". Docili a Dio in ogni vicenda domestica, facile e difficile, pieni cioè di fiducia nella sua Provvidenza. Fa da sfondo oggi - nella prima lettura - il quadretto magnifico della vicenda di Anna, la mamma del grande profeta Samuele, donna tutta abbandonata a Dio pur in mezzo a umiliazioni e prove. Genitori che hanno vissuto con fervore la pratica religiosa: "Si recavano tutti gli anni a Gerusalemme – che non era proprio fuori di casa – per la festa di Pasqua"; e naturalmente – a messa – vi portavano anche il figlio!

Genitori che, come tutti, hanno trovato difficoltà di fronte al figlio che cresce e che ha una sua autonomia. E la madre non nasconde un rimprovero forte: "Figlio, perché hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". E' un mistero la vita di ogni uomo, che va rispettato nella sua singolarità, anche quando un figlio lo si ritrova diverso da come lo si sognava. Anche Maria e Giuseppe "non compresero le sue parole", così insospettabile com'era il destino di quel Figlio così straordinario. Gesù è docile, ma qui rivela anche una sua autonomia, tanto che "si perde" nel tempio. Dice forse la larghezza di vedute di questi genitori, che sanno commisurare richiami e libertà nell'educazione del figlio.

Una famiglia a posto con Dio e con gli uomini. "Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini". Probabilmente una famiglia molto aperta sugli altri. Certamente sui parenti, tanto che "i parenti di Gesù" divennero un clan a lungo molto ricordati nella Chiesa primitiva. In fondo non ci sono che due cose da fare per vivere bene, l'amore a Dio e l'amore al prossimo. Ci dice oggi la seconda lettura: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato". Fede e carità, ecco ciò che fa grande una famiglia e gli uomini nuovi che da essa sanno uscire. Solo così la famiglia diviene la prima e decisiva cellula della società.

"Partì con loro a tornò a Nazaret". Bisogna vederla questa casa di Nazaret dove questa famiglia ha vissuto: una grotta, un piccolo muricciolo forse davanti in forma di capanno coperto di fogliame, quattro stuoie, due piccoli silos per le granaglie. Non sofisticati elettrodomestici o lussi. Invece tanta interiorità. Della donna di questa casa si dice: "Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore". Una donna sapiente è la ricchezza di una casa; lì è la radice di ogni sana famiglia. Ci conceda il Signore anche oggi spose e mamme come lo è stato Maria di Nazaret per fare anche di ogni nostra famiglia una riuscita e santa famiglia come quella di Gesù.