Omelia (26-02-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Una vittoria possibile Dopo la pena, finalmente la gioia. Il diluvio è stato necessario perché la creazione, contaminata dalle brutture del peccato umano, venisse riportata al suo stato di originaria bellezza e perché la stessa umanità fosse liberata sin dalla radice da ogni sorta di male; è stato necessario che Dio mandasse le acque, provvedendo a salvare un totale di otto persone che costituivano una sola famiglia, perché si ripristinasse l'ordine e l'armonia nel cosmo e perché la malvagità dell'uomo, che imperversava ormai ostinata e irrecuperabile, venisse debellata con la distruzione dell'uomo medesimo, travolto dalle acque. Adesso però, una volta superata la distruzione, inizia la ricomposizione e l'umanità rinasce a nuova vita nei discendenti di Noè, per vivere una felice alleanza con Dio sancita dal famoso segno dell'arcobaleno. La distruzione è stata necessaria alla salvezza. Anche per questo le acque del diluvio vengono ad essere prefigurative di quelle del battesimo, il lavacro di rigenerazione dall'acqua e dallo Spirito Santo nel quale siamo nati a nuova vita mentre ci veniva cancellato il peccato originale. Ma al di là di ogni argomento possibile, il diluvio suggerisce che non di rado la pena è necessaria perché si possa conseguire la gloria, che il prezzo della vittoria è la lotta e che ogni meta raggiunta è preceduta da una serie inevitabile di fallimenti. Questo in tutti gli aspetti della vita, ma particolarmente nei percorsi spirituali di conversione. Se da una parte la comunione con il Signore ci è indispensabile in vista della fede e riguarda ogni momento del nostro cammino spirituale, dall'altra è innegabile che essa conosce non pochi ostacoli ed è anche caratterizzata da delusioni e sconfitte: la conversione è appagante, ma anche sacrificata e irta di difficoltà. Basta osservare quanto avviene a Gesù, proprio immediatamente dopo la sua uscita dalle acque del Giordano e la sua istituzione a Signore e Figlio di Dio prediletto: lo stesso Spirito che su di lui era disceso sotto forma di colomba, adesso conduce Gesù fra le asperità e le ristrettezze del deserto di Giuda, dove il caldo opprimente, la sete e le varie indescrivibili privazioni rendono difficile la sopravvivenza e per ciò stesso anche la vigilanza contro il male. Il diavolo sta tentando insomma Gesù in una situazione nella quale chiunque potrebbe cedere alle lusinghe del secolo ed è molto facile essere sedotti dalle allettanti proposte del maligno. Chi potrebbe resistere a lungo privo dei necessari sostentamenti materiali e delle condizioni atmosferiche ottimali al fisico umano? Chi potrebbe resistere alle intemperie della stessa superficie astrusa e inospitale di quella terra irta di pericoli e insidie anche animali e di imprevisti inaspettati come quello dei predoni? E soprattutto chi respingerebbe coraggiosamente le seducenti proposte del maligno che offre piacevoli e allettanti soluzioni a problemi sia momentanei che definitivi? E tuttavia il deserto è il luogo in cui Gesù tiene testa al demonio, affrontando l'impensabile in fatto di prove, rinunce, avversità e carenze: egli resiste alle ostilità del deserto e a Colui che - come dicono i paralleli evangelici di questo brano - sfrutta perfino la Scrittura per confonderlo e sedurlo verso invitanti proposte di potere effimero e di successo. Gesù accoglie la sfida di ben quaranta giorni e quaranta notti di deserto, cioè di una dimensione nella quale tutto viene tolto e nulla garantito (come del resto descrive lo stesso termine de - serto = togliere, far mancare), uno spazio temporale abbastanza lungo e irto di pene, ostacoli, ristrettezze e difficoltà insormontabili. Egli sostiene una lotta da solo contro ogni cosa armato della sola speranza in Dio e del sostegno dello Spirito e tuttavia suscettibile di cadute e di cedimenti, e tutti i suoi sforzi vengono ulteriormente messi a dura prova dal Tentatore, che tende a confonderlo e a distoglierlo dal suo proposito. Ma su tutto quanto egli si mostra vincitore indomito. Per quanto sia ossessionante e avvincente la tentazione del maligno e per quanto avverse e ostili siano le condizioni in cui essa prende corpo, Gesù vi tiene testa con padronanza assoluta e determinata, avendo la meglio sul diavolo, che è costretto alla fuga. La vittoria di Gesù prefigura già il trionfo della risurrezione, dopo che il diavolo sarà tornato "al momento opportuno" contro di lui e lo avrà costretto ad un altro deserto molto più penoso e cruento di questo, che sarà l'abbandono e la solitudine del supplizio sulla croce. Allora come adesso Gesù ne uscirà vittorioso e padrone. In questo tempo di conversione che abbiamo iniziato da poco, osservando il nostro Maestro di vita nonché modello e fine ultimo della nostra fede, ci sovvengono le parole rassicuranti di Paolo, che applicano a noi la stessa vittoria di Cristo sul nemico tentatore: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, la persecuzione, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8, 35 - 37). Prove, tentazioni, devianze, altre difficoltà che minano la perfezione e la santità... tutto si vince con successo in ragione del fatto che il Cristo ci ama e per ciò stesso non ci lascia soli nella lotta; egli ci sostiene e ci rincuora fornendoci tutti i mezzi e le risorse necessarie a vincere, nel contesto delle odierne comodità in cui viviamo, quanto egli ha vinto e superato nelle privazioni e nell'abbandono di un deserto ostile e assurdo. Se la tentazione è una costante contro cui lottare con coerenza e impegno rinnovati, se essa tende a sconfiggere la nostra volontà e a demotivarci nei buoni propositi, le possibilità di potervi uscire a testa alta sono così garantite dai mezzi della grazia e dalla costante vicinanza del Signore Gesù, il cui amore tutto vince e per questo motivo va sempre allontanato qualsiasi scoraggiamento e qualunque demotivazione che possano indurci a cedere e ad abbandonare. Tutto posso in colui che mi da la forza" (Fil 4, 13) |